Impiegata col vizio pausa-caffè: capufficio le chiede 11 mila euro
12 Novembre 2005 - 00:00Ogni giorno per 5 anni si è assentata per oltre unora. La Corte dei conti la condanna a rimborsare 800 euro
Nino Materi
Al Comune di Gubbio si racconta che quellelegante impiegata di 41 anni fosse amante del caffè lungo, anzi lunghissimo: per berlo, infatti, ci metteva oltre unora. Decisamente troppo per il suo capufficio reso nervoso dalle innumerevoli tazzine e dalle troppe «pause» che allontanavano ogni giorno limpiegata dalla scrivania. Una dipendente tutta casa-lavoro-bar che, tra casa e al lavoro, aveva deciso di privilegiare la tappa al bar. Per i primi tempi il responsabile del personale ha chiuso un occhio, poi entrambi e - ormai «orbo» - ha deciso di denunciare la donna alla magistratura contabile. E visto che landazzo - secondo laccusa - andasse avanti da cinque anni, lamministrazione municipale ha chiesto al procuratore regionale un congruo rimborso.
Il procuratore si è così armato di calcolatrice e ha formalizzato la richiesta allassenteista caffeinomane: 5 mila euro, più altri 6 mila per il «danno procurato allimmagine e al prestigio del Comune Gubbio». Una brutta notizia arrivata alla destinataria via espresso (e come, se no?); lei, ovviamente, per tirarsi su si è fatta subito un Hag, ma la cosa non è bastata a calmare le acque.
Allimpiegata - ribattezzata dai colleghi «lady Lavazza» - non è rimasto quindi che affidarsi a un buon avvocato, il quale ha sostenuto «lassoluta innocenza» della sua cliente, i cui «break, al contrario, sarebbero andati a esclusivo vantaggio della produttività aziendale». Ben diversa linterpretazione del Comune di Gubbio, rimasto evidentemente insensibile dinanzi al presunto «bisogno di un recupero psico-fisico» sostenuto dalla dipendente assenteista. A ricomporre la vertenza non è bastata neppure la chiamata di correo avanzata dalla donna che - messa alle strette - ha rivolto lindice accusatore contro la maggioranza dei dipendenti comunali: «La pausa-caffè di mezza mattina rappresenta tra noi unabitudine talmente sedimentata da dirsi ormai quasi una sorta di istituzione».
Ma le toghe della magistratura contabile la pensano diversamente e calano il carico da 11 mila euro. A inchiodare la signora alle proprie responsabilità sono i vigili urbani di Gubbio che, incaricati delle indagini, piombano in pieno orario dufficio nella stanza dellassenteista trovando la sedia desolatamente vuota e una voce che ha li prontamente informati che «la signora è, come al solito, al bar...». I vigili, impassibili, si siedono ad aspettarla: passa un quarto dora, niente; passa mezzora, niente; passano tre quarti dora, niente; passa unora, niente. Passa ancora qualche minuto, ed ecco finalmente materializzarsi - preceduta da un intenso aroma di miscela arabica - loggetto dellispezione. Allimpiegata, in flagranza di assenteismo, non rimane che ammettere di essere andata al bar «per ricaricarsi». Proprio come avviente nella pubblicità dei Pocket Coffee. «Del resto - si difende limputata - queste mie pause compensano le tante ore di straordinario per le quali non ho mai preteso il pagamento della prevista maggiorazione». Giustificazione infondata per la Corte dei conti che, senza pietà, parla chiaramente di «comportamento irregolare ed eticamente riprovevole». Unica, e non irrilevante, consolazione: la Corte dei conti ha ridotto la multa da 11 mila, a ottocento euro.
Inevitabile, per linteressata, offrire un caffè ai giudici.
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