Nicola Porro
da Milano
Bisogna stare attenti ai numeretti. È su questo particolare che si gioca linasprimento della tassazione sulle rendite finanziarie. A giugno dellanno prossimo rischiamo infatti di trovarci con una brutta sorpresa. Iniziamo con quella che al Giornale è sempre sembrata unovvietà, ma che gli esponenti della maggioranza hanno sempre considerato unipotesi terroristica. Laumento delle imposte sulle rendite finanziarie avrà inevitabilmente un sapore retroattivo. Ci spieghiamo meglio. I possessori di titoli di Stato (ma anche di obbligazioni private) quando verranno cambiate le aliquote, subiranno una maggiore tassazione sugli interessi che ancora dovranno maturare nei titoli in loro possesso. Chiunque abbia comprato un Btp decennale, tre o quattro anni fa, al momento delle nuove aliquote si troverà infatti in mano una carta che gli dà diritto allo stacco di cedole. Ebbene queste verranno tassate al 20 per cento e non già al 12,5% come era scritto quando il risparmiatore sottoscrisse quella emissione. Corrado Faissola, presidente dellAbi, ha recentemente detto in unintervista al Giornale che il costo della maggiore imposizione sulle rendite finanziarie con tutta probabilità si traslerà completamente sui rendimenti netti dei risparmiatori.
Ma il rischio che si corre è un altro. E ben superiore. Lidea è quella di tassare i guadagni di capitale sul «maturato» e non già come avviene oggi sul «realizzato». Lattuale regime tassa infatti al 12,5% la differenza tra quanto pagato un titolo e quanto realizzato al momento della sua vendita (capital gain). Sta prendendo piede lipotesi che la tassazione (che passerà comunque al 20%) non avvenga al momento della vendita, ma alla fine di ogni anno fiscale. Si tassa così il maturato, indipendentemente dal fatto che esso sia stato venduto o meno. Si colpiscono i guadagni virtuali e ancora non realizzati.
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