Un’imprenditrice su 10 è straniera Le più attive arrivano dalla Cina

Sono 860, un quarto del totale. La maggior parte si dedica a commercio e manifatture

Daniela Uva

Milano: città aperta, disponibile all’integrazione, luogo ideale per investire e lavorare. Lo hanno capito anche 3.265 donne straniere che, nonostante qualche inevitabile difficoltà, hanno scelto il capoluogo lombardo per creare la propria impresa. Secondo una ricerca condotta dalla Camera di commercio, all’ombra della Madonnina un’imprenditrice su dieci proviene da un altro Paese. Il gruppo più numeroso è quello delle cinesi: un esercito di 860 persone, oltre il 26 per cento del totale.
«Milano ha una grande tradizione dal punto di vista dell’accoglienza sociale - spiega Gianna Martinengo, presidente del Comitato per l’imprenditoria femminile -. A facilitare l’integrazione contribuiscono le infrastrutture, l’attenzione per i finanziamenti e i tanti progetti tesi a rendere più agevole l’attività degli imprenditori. Il fatto che questi dati emergano da uno studio della Camera di commercio non deve stupire, si tratta di una tappa importante verso un processo di integrazione che stiamo cercando di sviluppare. A testimoniarlo, la creazione di numerose associazioni che hanno come obiettivo quello di creare una rete sul territorio».
A Milano le imprenditrici straniere rappresentano più del dieci per cento del totale delle donne (italiane e no) che lavorano in proprio. Il doppio rispetto al dato nazionale (5,4 per cento). Provengono da tutto il mondo: Perù, Egitto, Romania, Polonia, Estonia, Marocco. E soprattutto dalla Cina. Oltre un quarto delle imprenditrici straniere è cinese; una donna cinese su cinque sceglie di aprire un’attività nel capoluogo lombardo. I settori più gettonati sono commercio, manifattura, servizi immobiliari, noleggio, informatica e ricerca.
«Non è un caso che le donne cinesi abbiano successo - dice Gianna Martinengo -. Appartengono al popolo che per primo si è insediato sul nostro territorio. Non escludo che abbiano anche una notevole disponibilità all’autoimprenditorialità e che siano riuscite a individuare buoni settori nei quali investire».
La vita di queste donne non è sempre facile. Non appena arrivate in Italia devono fare i conti con alcune difficoltà. «I maggiori ostacoli - dice il presidente del Comitato - sono rappresentati dalla lingua e dalla cultura.

Le tecniche di vendita in alcuni Paesi sono molto diverse dalle nostre (vedi l’abitudine a contrattare). Inoltre, molti stranieri si abituano difficilmente alla mole di leggi e burocrazia che caratterizzano il nostro sistema imprenditoriale e che rendono tanto difficile la vita delle piccole e medie imprese».

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