Politica

«Le impronte? Le prendiamo a 9 zingarelli su 10»

Serve per identificarli e per cercare di evitare che vengano sfruttati per commettere reati

Impronte digitali ai piccoli rom? «Non capisco tutto questo chiasso intorno all’argomento. Per noi è doveroso e normale. Noi lo facciamo regolarmente da anni». Ciro Cascone, pubblico ministero del Tribunale dei minori di Milano, smorza le polemiche sulla proposta lanciata dal ministro dell’Interno Roberto Maroni, esponendo la prassi milanese.
Davvero prendete le impronte agli zingarelli?
«Certo, lo prevede il codice di procedura penale. È una questione di identificazione di tutte i minori che commettono reati o che vengono denunciati. Questa procedura vale per i rom, per gli stranieri in genere e anche per gli italiani che non hanno documenti».
Ci spieghi meglio le finalità di questa prassi.
«Quando le forze dell’ordine fermano un minorenne senza documenti (che sia rom, romeno, albanese o africano), di cui non si riescano a reperire i dati identificativi, viene sottoposto al c.d. “fotosegnalamento”, e gli vengono prese anche le impronte digitali per identificarlo, è un fatto naturale».
E cosa ve ne fate?
«In questo modo sappiamo chi è e lo identifichiamo. Per la seconda volta che arriva nei nostri uffici».
Perché, di solito ritornano?
«Purtroppo sì. Di solito sono ragazzini che compiono furti o fanno accattonaggio ma se non superano i 14 anni non sono punibili. Così dobbiamo lasciarli andare. Loro tornano sulla strada a fare la solita vita. E prima o poi li rivediamo».
E con le impronte che avete nello schedario...
«Li identifichiamo, anche se non con un nome bensì con una sigla (a cui sono associate le impronte). Altrimenti, questi ragazzini (ma ciò vale anche per gli adulti senza documenti), ogni volta ci fornirebbero un nome nuovo».
In questo modo non accumulerebbero neppure le condanne per i reati?
«Esatto. L'identificazione attraverso le impronte consente, una volta eventualmente condannati per i reati commessi, di fargli scontare la pena quando vengono reperiti (magari per un normale controllo). E a volte capita che si cumulano più sentenze di condanna a carico della stessa persona, identificata grazie alle impronte digitali».
Quanti rom identificate?
«Tutti quelli che vengono fermati dalla polizia. Il problema non sono tanto i rom, quanto gli altri extracomunitari (a cominciare dai romeni e degli altri Paesi dell'Est europeo, ma anche i nordafricani). Senza dimenticare che i rom sono spesso di cittadinanza italiana, ed hanno anche regolari documenti».
Che età hanno?
«Normalmente dai quattordici anni in su. A volte può capitare di identificare anche i dodicenni ma solo se commettono reati».
Lei dunque è d’accordo su questo meccanismo di controllo?
«Non c’è altra scelta, ma questo ovviamente vale anche per gli altri stranieri, non solo per i rom. Compreso i minori italiani. Solo che i connazionali è più facile identificarli e risalire alle famiglie d’origine».
Schedare con le impronte servirebbe a evitare lo sfruttamento dei minori?
«Non sta a me fare una valutazione politica. Però, come esperienza, mi accorgo che questi poveri bambini sono vittime, vengono usati per piccoli furtarelli, per scippi in metropolitana, per spaccio di droga.

E difficilmente in questi reati si trovano impronte».

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