Incentivi, tra i mobili e la moda finisce a legnate

I produttori di mobili: "Manteniamo lavoro e produzione in Italia, ma non abbiamo visto un centesimo di sostegno". E la crisi ha spazzato via oltre 1.800 aziende

Incentivi, tra i mobili e la moda finisce a legnate

Milano - Il design attacca la moda. E non ci sta alla regola dei due pesi e delle due misure. La stoccata, nemmeno tanto in punta di fioretto, arriva da Carlo Guglielmi, presidente di Cosmit, a pochi giorni dal Salone del Mobile di Milano, uno degli eventi di design più quotati.
«Mica esponiamo degli stracci cuciti» insorge. Quello che non gli va giù sono gli incentivi concessi dal governo al settore del tessile e della moda. «E noi? Basta con questa idea di una Milano modacentrica». Il mondo dell’arredamento non ha ricevuto nulla, se non qualche incentivo per l’acquisto delle cucine con elettrodomestici di ultima generazione.

«Eppure noi non andiamo a produrre i nostri mobili in Cina - rincara la dose Guglielmi -. Manteniamo il lavoro e la produzione in Italia e, con il Salone, muoviamo un giro di 300mila persone. Le passerelle della settimana della moda invece sono riservate a non più di 10mila invitati».

La polemica sollevata dalle griffe dell’arredamento fa leva sui conti: «Il nostro settore è l’unico che regala qualcosa: gli eventi come il Salone del Mobile e gli altri Saloni costano e li paghiamo noi imprenditori. Altri settori, che non tirano fuori un euro e centellinano il caffè da offrire agli eventi, si ritrovano in tasca qualcosa degli incentivi del governo, e questo non è giusto».

I designer e i produttori di mobili alzano il loro grido di dolore, soprattutto ora che - chi più chi meno - escono dalla crisi con le ossa rotte: lavorano con campionari costosi, che richiedono anni di preparazione e si sarebbero aspettati un occhio di riguardo. Che non c’è stato. Oltre 1.800 aziende (per un totale di 12mila lavoratori) hanno chiuso i battenti nei mesi scorsi e il calo di fatturato si è fatto sentire.

«Chiediamo più attenzione per questo settore. Basta con una politica miope, basta con il sistema degli incentivi che spesso aiutano le aziende straniere». E forse, a pensarci bene, gli incentivi da soli non bastano nemmeno. «Serve una seria riforma strutturale - aggiunge Guglielmi, anche in qualità di amministratore delegato di Fontana Arte - che preveda una semplificazione degli scaglioni fiscali e l’abbassamento delle aliquote. Noi non siamo aiutati né dal sistema né dalle banche, che hanno chiuso tutti i rubinetti». Stavolta la frecciatina è rivolta alla Confindustria «che è in mano ai grandi potentati, invece deve calarsi nei nostri problemi, quelli della piccola e media industria». Insomma, non vengano tutelate solo le passerelle.
Gli arredatori rivendicano il loro ruolo e fanno notare che l’Italia è conosciuta nel mondo non solo per le grandi firme degli stilisti della moda, ma anche per il gusto dei designer. Entrambi sono stimati, comprati, copiati. «Chiediamo interventi strategici - aggiunge Rosario Messina, presidente di Federlegno - per il nostro settore e non solo incentivi. Soprattutto se si considera che è nostro interesse mantenere la produzione qui in Italia. Non credo sia etico vendere come italiano un prodotto che è stato fabbricato dall’altra parte del mondo».

Polemiche a parte, moda e arredo hanno tanto in comune e lavorano spesso a braccetto. Anzi, gli arredatori hanno preso spunto dall’idea delle «seconde linee» delle maison, quelle più a misura di giovani, per dare forma a un’idea: l’arredamento a basso costo.

Che non significa né mobili da montare da soli né armadi che stanno in piedi per miracolo e durano due anni scarsi. Si tratta piuttosto di una versione di arredamento firmato ma più accessibile per conquistare, in periodo di crisi, nuove fasce di mercato, single in testa.

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