Caro Vittorio,
ti scrivo memore della nostra vecchia amicizia, avendo lavorato molti anni insieme al Corriere della Sera. Mi permetto di usare il sostantivo «amicizia», in quanto mi pare che tra noi ci sia stato sempre rispetto, solidarietà e stima. Debbo dire che sono rimasto assai addolorato per la campagna che il Giornale da te autorevolmente diretto ha fatto nei confronti dell’Ordine che ho l’onore di presiedere. Cito fatti.
Il primo riguarda il caso di un giornalista della redazione romana, Vittorio Macioce, contro il quale abbiamo ricevuto tempo fa un esposto dalla Presidenza del consiglio dei ministri per un suo articolo apparso sulle colonne de il Giornale. Ho ritenuto, quindi, di doverlo ascoltare, perché se avessi messo nel cassetto la pratica avrei commesso un reato penale, cioè la omissione di atti d’ufficio. Allora, ho mandato un telegramma al collega, lo invitavo a passare all’Ordine per un chiarimento. Cosa che Macioce ha gentilmente accettato: ha letto lo scritto, ha fatto le sue controdeduzioni e il Consiglio ha deciso di archiviare il caso in quanto non ha ravveduto nello scritto alcuna violazione delle norme deontologiche. Ma, nel frattempo, il tuo giornale ha preso posizione contro l’Ordine, scrivendo che si era messo sotto procedimento disciplinare il collega e che presto sarebbero stati presi provvedimenti nei suoi confronti. Non è stato così, come ho cercato di spiegarti, né mai qualcuno si era sognato di aprire un procedimento disciplinare.
Secondo caso: il «diverbio» (uso un eufemismo) tra il collega Sallusti e l’on. D’Alema. La trasmissione «incriminata» è andata in onda martedì 4 maggio in prima serata. Ti dico sinceramente che non l’ho vista, perché avevo qualche problema di salute. Comunque, il giorno dopo ho letto i quotidiani ed ho immediatamente chiesto alla Rai la registrazione di Ballarò. Non è un’operazione facile, ma siamo riusciti ad ottenerla nel giro di ventiquattro ore. Il venerdì 7 maggio, ho riunito il Consiglio e, dopo aver visionato, tutti insieme, la cassetta, si è deciso di avviare un procedimento disciplinare nei confronti del collega D’Alema per violazione dell’articolo 2 della nostra legge ordinistica. A questo punto, il silenzio. Perché, mi chiederai? Te lo spiego subito. Quante volte abbiamo letto sui giornali che la persona a cui era stato mandato un avviso di garanzia lo aveva letto sulla carta stampata prima di riceverlo dai giudici? Spesso, si è criticato questo modo di fare a garanzia del soggetto «incriminato». Allora, il Consiglio ha ritenuto di non emettere comunicati e di informare l’interessato con un telegramma. Di modo che la notizia non lo avesse raggiunto ascoltando la radio, vedendo la tv o leggendo i quotidiani. Purtroppo, per quattro giorni, il Giornale ha ritenuto, invece, che il Consiglio dell’Ordine fosse rimasto con le mani in mano, forse per paura di procedere nei confronti di un uomo politico importante.
Spero, caro Vittorio, di essere stato chiaro e mi auguro che anche tu abbia compreso il perché della mia amarezza quando leggevo circostanze non vere. Comunque sia, nessuna polemica. Ma, in nome di una vecchia amicizia, un saluto affettuoso.
Bruno Tucci
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