«Incostituzionale il decreto sulle cause collettive»

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da Milano

«Il decreto Bersani sulle liberalizzazioni è incostituzionale perché discrimina la maggioranza delle associazioni escludendole dalla possibilità di ricorso alla class action». Domenico Bacci è il segretario del Siti, l’associazione che dal 1994 tutela gli investitori truffati in Borsa, e che in questi anni ha difeso azionisti di Parmalat, Cirio, Finmatica, Freedomland, Opengate. Bacci è tra i più critici della parte di decreto, ora in discussione alla commissione Giustizia, che riguarda la legittimazione alla class action, l’azione collettiva. «Nella passata legislatura - ricorda Bacci - venne approvato alla Camera con voto bipartisan un ddl nel quale si riconosceva finalmente il diritto delle associazioni di tutela in interessi collettivi specifici a poter adire una class action. La nuova formulazione - aggiunge il fondatore di Siti - limita ingiustificatamente questa facoltà alle 16 associazioni consumeristiche generaliste che fanno parte del Cncu presso il ministero dell’Industria, in spregio agli articoli 3, 18 e 24 della Costituzione e al princìpio sancito nella passata legislatura, creando così un’orgia di conflitti d'interesse». Se da un lato infatti il ddl sulle liberalizzazioni «apre alla possibilità di ricorrere con lo strumento della class action anche per i danni causati da rapporti extracontrattuali (come un incidente stradale, ndr)», dall’altro limita il ricorso alla class action «proprio a quegli enti che per statuto collettivamente rappresentano specifici interessi. Oltre alla nostra - dice Bacci - penso ad associazioni come Telefono Rosa, all'Associazione Familiari e Vittime della strada, al Comitato familiari Vittime di Linate che, se l’impianto del ddl venisse confermato, sarebbero escluse dal riconoscimento in sede processuale come soggetti legittimati all’utilizzo della class action, e sarebbero costrette a cedere il passo alle Associazioni consumeristiche generaliste».
I limiti del ddl Bersani, «che è ben lontano da quel modello americano - dice ancora Bacci - al quale parrebbe ispirarsi, sono anche altri. Nell’attuale formulazione, se un soggetto legittimato avviasse una class action e vincesse, i danneggiati sarebbero comunque costretti a muovere, ognuno per conto proprio, una causa individuale per ottenere il risarcimento. Altro che azione collettiva. Questo moltiplicherebbe le cause, anziché ridurle. Peraltro, anche la giurisprudenza civile e penale prevalente, come dimostrano le ordinanze dei Gup di Roma, Milano e Parma ai processi Cirio e Parmalat, riconosce legittimazione attiva alle associazioni di tutela di interessi collettivi specifici negandola alle consumeristiche generaliste».
Un’altra questione, secondo Bacci, riguarda l’individuazione del dominus da parte del giudice. «Al momento - spiega - il decreto non precisa in base a quali principi il giudice deve decidere qual è l’associazione di consumatori alla quale fare eventualmente riferimento, nel caso in cui due o più soggetti decidessero di muovere una class action». Bacci e le altre associazioni che rappresenta hanno già discusso nei mesi scorsi con il ministro dell’Industria.

«Siamo pronti a dare battaglia perché il Parlamento ponga rimedio a questa ingiustizia modificando un ddl - conclude il segretario del Siti - che spaccia per class action uno strumento che rischia di ingolfare ancora di più il nostro sistema giudiziario. Con gravissimo danno per utenti, consumatori e investitori».
felice.manti@ilgiornale.it

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