nostro inviato a Gubbio
Scende dal palco e si risiede in prima fila. Si accende la sigaretta e tira forte, ciccando dentro un bicchiere di plastica. Non si potrebbe fumare in sala, ma nessuno fiata: chissà, si pensa, dopo lindubbia tensione magari se la sarà meritata. Di certo, lui, quello che doveva dire lha detto e «ognuno adesso tragga le sue conseguenze». Già. Ma chi è il primo della lista, visto che le bordate di Gianfranco Fini non sono unidirezionali? Forse il Cavaliere, senza per questo presupporre «lesa maestà». Forse la Lega, le cui «provocazioni non vanno banalizzate», dinanzi ad un Sud dove, «se si perde il senso di appartenenza ad una Patria comune, ci possono essere conseguenze preoccupanti». Forse i pusillanimi interni, quelli che con il capo non riescono a dire la verità, ma solo che «va tutto bene». Ma non è così, anzi. «Dal 27 marzo, come mi ha detto proprio Berlusconi al telefono, non si è deciso ancora nulla: ma è proprio questo il problema», rimarca il presidente della Camera, che di sassolini se ne toglie eccome nei quarantacinque minuti di discorso, perché «è evidente, i problemi di merito ci sono». Quindi, «caro Silvio, attento ai plauditori che, quando non senti, dicono qualcosaltro». Come dire, criticano alle tue spalle.
Lui, invece, il cofondatore del Pdl, parla «chiaro», «pubblicamente», perché non è mica detto che la terza come la seconda carica dello Stato debba sempre «svestirsi» del proprio abito da politico. E allora, subito allattacco - spiazzando chi immaginava un crescendo di puntini sulle «i» - per porre fine allo «stillicidio indegno» subito negli ultimi mesi (vedi le critiche alle sue posizioni minoritarie sui temi laici, ma non solo). Si parte così con una risposta ironica - in verità solo in apparenza - al Senatùr, che lo definì un po matto. «Come vedete, non ho uno scolapasta in testa e non lho mai avuto. Di conseguenza, dico allamico Bossi con simpatia, non posso essere liquidato come un mattarello che ogni tanto dice quello che gli passa per la testa». Quanto allimmigrazione: «Volere il diritto di voto per gli immigrati non è da cattocomunisti». POi, seconda delle quattro «ipotesi fantasiose» che circolano: «Non ho tra le mie letture preferite il Capitale, quindi non sono un compagno, neppure un compagno travestito». Terza: «Non ho come ambizione recondita o manifesta di andare al Quirinale», assicura Fini, che ne approfitta per elogiare l'operato di Giorgio Napolitano. «Semmai, ambisco a fare il successore di Ban Ki-Moon allOnu». Quarta: «Non ho frequentazioni con grembiulini e compassi». Chi vuole intendere intenda.
Il nocciolo della questione, in ogni caso, è sempre lo stesso: il Pdl non è strutturato a dovere, non ha la forza di avanzare proposte o idee. «Non pervenuto, come la temperatura dinverno a Bolzano». Non detta quindi lagenda, né svolge il ruolo di impulso per il governo, schiacciato comè dal condizionamento che subisce dal Carroccio. Prima di andare avanti, però, Fini apre una parentesi delicata (a rischio strumentalizzazione) sulle inchieste di mafia degli anni Novanta. «Mai, mai, mai dare limpressione di non avere a cuore la legalità e la verità. Sono convinto quanto voi dell'accanimento giudiziario contro Berlusconi, ma non dobbiamo lasciare nemmeno il minimo sospetto - scandisce - sulla volontà del Pdl di accertare la verità sulle stragi di mafia. Se ci sono elementi nuovi, santo cielo, si devono riaprire le indagini, anche dopo 14-15 anni! Soprattutto se non si ha nulla da temere, come è per Forza Italia e certamente per Berlusconi».
Si torna a bomba. «Nel Pdl - ribadisce Fini - bisogna confrontarsi come si conviene ad un partito complesso e plurale con il 35-40% dei consensi. Occorre un cambio di passo e serve maggiore coerenza fra ciò che si dice e ciò che si fa». Cioè, «rendere carne ed ossa il cambiamento che abbiamo alzato come bandiera, immaginare lItalia che verrà». Insomma, se la leadership del Cavaliere non è certo messa in discussione, bisogna «pensare meno agli organigrammi e alimentare invece il confronto, anche riunendo più spesso la direzione del partito». E nonostante i tre coordinatori siano stati finora «bravissimi», il quesito che pone è il seguente: «È un reato pensare di avere delle proposte da avanzare? È indispensabile per radicare ancora di più il Pdl, per farlo crescere, in uno spirito non da caserma ma da soggetto che crei sintesi ed equilibrio». Un esempio negativo? «Non cè stata mai un'occasione per discutere le politiche economiche e sociali del governo». E «non credo che lultima Finanziaria sia stata un esempio di lotta alle degenerazioni del mercato».
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