RomaFabrizio Cicchitto e Roberto Maroni facciano mea culpa. Come hanno osato, il primo a denunciare «i veleni prodotti dalla campagna di odio che dura dal 1994», il secondo a pensare a nuove regole per il web? La schiera degli indignati speciali è folta: per il direttore di Repubblica Ezio Mauro, Cicchitto «ha scambiato laula di Montecitorio per un bivacco piduista e si è permesso di accostare il nome di Repubblica a quello dellaggressore di Berlusconi in piazza Duomo». Temerario Cicchitto. Il quale forse non ha capito che tartassare per mesi il premier con dieci domande per sapere se sia un pedofilo, vista lignobile idea di partecipare a una festa di una diciottenne di Napoli, è legittimo e sacrosanto diritto di cronaca. Non certo una campagna dodio. Cicchitto, per Mauro «avvelenatore di pozzi e piccolo imprenditore dodio», forse non ha capito che dare del puttaniere al presidente del Consiglio in carica e riempire le pagine di un giornale con le foto scippate di villa Certosa, è sano e intoccabile diritto dinformazione. Non certo una campagna dodio. Sempre Cicchitto forse non ha capito che chiamare Berlusconi psiconano, mafioso, satrapo o Al Tappone, copyright Travaglio, fa parte dellinviolabile diritto di critica. Non certo una campagna dodio. Cicchitto, per il travagliesco Fatto Quotidiano uomo dall«inconfondibile sorriso mascellato da Joker», non ha neppure capito che dipingere il premier come gaffeur, parvenu della politica, inadatto a governare, e dittatorello è soltanto un doveroso esercizio di informare il lettore. Non certo una campagna dodio. Cicchitto, reo per Norma Rangeri sul Manifesto di «aver versato sul Parlamento purissima benzina», forse non ha capito che anche un giudice tempo fa ha stabilito che dare del «buffone» al Cavaliere non è «ingiuria» ma soltanto «forte critica». Sempre Cicchitto, per Mauro «irresponsabile antidemocratico», di certo non ha capito che se Di Pietro paragona Berlusconi a Hitler, Mussolini, Videla, Saddam Hussein e Pinochet, in realtà lo fa in ossequio al monito di Napolitano di abbassare i toni del dibattito politico; altrimenti lo avrebbe accostato a Belzebù e Lucifero.
E Maroni? Pure lui ha un bel coraggio a indignarsi perché un minuto dopo che un «isolato psicolabile» ha spaccato la faccia al presidente del Consiglio, su Internet in migliaia (isolati psicolabili?) hanno osannato lattentatore. E che azzardo pensare di mettere nelle mani della magistratura gli strumenti per rimuovere una pagina web che istiga a delinquere. Forse neppure Maroni ha capito che così facendo, ma glielo ricorda Concita De Gregorio sullUnità, «si criminalizza ogni forma di critica e di dissenso e si mettono le premesse per uno stato di polizia». Chiedersi on line, come fece un giovane dirigente del Pd, come sia possibile che nessuno abbia ancora ficcato una pallottola in testa a Berlusconi è, in sostanza, «esprimere il proprio pensiero anche in modo aspro». Non certo una campagna dodio. Lindignata speciale De Gregorio spiega meglio che «mettere la fiducia sulla Finanziaria», questo sì che è «irresponsabile, pericolosissimo, criminale». Maroni forse non ha capito che, come gli ricorda Benedetto Vecchi sul Manifesto, «lIran degli ayatollah, la Cina e altri Paesi» (Vecchi sè dimenticato Cuba ndr) «hanno cercato di imbrigliare Internet ogni volta che è stata usata per esprimere punti di vista sgraditi al governo di turno». Punti di vista sgraditi.
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