Indonesia, scoppia la rivolta per i tre cristiani giustiziati

Fausto Biloslavo

Niente funerali per i tre cristiani fucilati in Indonesia. Le autorità di Giakarta non hanno consentito che i corpi dei giustiziati fossero esposti nella chiesa di Sant Mary, della città di Palu dove è avvenuta l’esecuzione e dove sono scoppiati scontri in varie zone cristiane dell’arcipelago indonesiano. I corpi di Fabianus Tibo e Marianus Riwu, condannati a morte per i sanguinosi scontri con i musulmani di sei anni fa, sono stati trasportati in aereo verso i loro villaggi natale. Il terzo giustiziato, Dominggus Silva, che voleva farsi fucilare in diretta tv, è stato sbrigativamente sepolto a Palu, mentre un migliaio di fedeli attendeva il feretro nella cattedrale.
Gli scontri sono iniziati ad Atambua, una cittadina a maggioranza cristiana nella zona occidentale dell’isola di Timor, dove è nato Silva. Migliaia di dimostranti sono scesi in strada prendendo d’assalto l’ufficio del procuratore e la prigione. I carcerati hanno potuto evadere, mentre alcuni negozi e ristoranti di proprietà di musulmani sono stati saccheggiati e dati alle fiamme.
Gli scontri nell’isola di Sulawesi, dove la tensione fra cristiani e musulmani è sempre alta, sono iniziati dopo lo scippo dei funerali da parte delle autorità. Il vescovo Anton Pain Ratu e altri esponenti religiosi sono intervenuti per portare la calma e chiedere la rimozione dei blocchi stradali eretti dai simpatizzanti dei tre cristiani giustiziati. Esercito e polizia hanno schierato 4mila uomini per mantenere sotto controllo la situazione, e il vicepresidente indonesiano Jusuf Kalla ha invitato la popolazione alla calma.
L’esecuzione dei tre cristiani, avvenuta giovedì, è stata duramente criticata dall’Unione Europea e da Amnesty International. La presidenza di turno finlandese dell’Ue ha espresso sdegno e ribadito «la posizione di principio contro la pena di morte». Il vicepresidente della Commissione Europea, Franco Frattini, si è chiesto «cosa sarebbe successo nel mondo musulmano a parti invertite, cioè se fosse avvenuta un’esecuzione capitale nei confronti di islamici da parte di uno Stato cristiano».
Amnesty International ha parlato di omicidio di Stato e invitato l’Indonesia ad abolire la pena di morte o almeno ad aderire a una moratoria che valeva per Giakarta fino al 2004. I tre cristiani erano stati condannati a morte per omicidio premeditato e incitamento alla rivolta durante gli scontri del 2000, nel distretto di Poso, che portarono all’uccisione di 200 musulmani. Amnesty International ha definito il processo iniquo e intimidatorio, mentre i condannati hanno sempre sostenuto che montavano la guardia alle chiese e alle zone cristiane minacciate dagli islamici.
Tra il 1998 e il 2001, soprattutto nell’isola di Sulawesi, scontri interreligiosi ed etnici provocarono 2mila morti. La maggioranza musulmana (80%) dell’isola combatté con i cristiani (17%) armati di coltellacci, lance e frecce in un’orgia di sangue fermata da un fragile accordo di pace.

Saltuariamente la violenza riesplode, e dietro gli scontri ci sono i gruppi militanti islamici come Laskar Jihad e Jemaah Islamyah, vicini ad Al Qaida e infiltrati da cellule terroriste, come quella che ha organizzato le stragi di turisti a Bali. Da parte cristiana opera il gruppo paramilitare «Forza rossa», che ha scatenato rappresaglie nei confronti degli islamici.

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