Anna Maria Greco
da Roma
Uno è il Guardasigilli, Clemente Mastella, laltro è il suo «ministro-ombra», Antonio Di Pietro, che nello stesso governo ha tuttaltre competenze, alle Infrastrutture. Ma il «pomo della discordia» dellindulto fa esplodere la contraddizione che lacera lesecutivo di Romano Prodi. Mastella non ci sta a continuare così e al premier manda a dire: o la smette o me ne vado. Così sono in due a minacciare le dimissioni sulla stessa questione.
Amareggiato, sconcertato, irritato per linvadenza del leader dellItalia dei valori, che lo bersaglia di accuse sul provvedimento di clemenza che chiama «salva-corrotti», vuole Prodi come arbitro della controversia, una volta per tutte. E in una lettera a Prodi rimette a lui la decisione sulla sua permanenza al governo, visto che finora nessuno lha difeso, malgrado il comportamento di Di Pietro «devastante per la maggioranza e per il governo».
Al Guardasigilli fa saltare i nervi questo «ministro di lotta e di governo», che lo tiene sulla graticola, si autosospende dal suo ministero per dedicarsi allindulto, fa i girotondi in piazza contro il provvedimento che si discute a Montecitorio e poi riprende il suo posto in aula nei banchi del governo che lo appoggia. Questo Di Pietro che presidia la Camera e addita il suo posto vuoto, accusandolo di assenteismo. Proprio lui che, invece, ha voluto evitare gli incontri per impedire gli scontri e per rispetto verso il Parlamento non raccoglie le provocazioni.
Dal centrodestra lo criticano e lazzurro Paolo Bonaiuti prevede che anche stavolta saranno dimissioni solo annunciate. «Il premier venga in aula a spiegare la posizione di Mastella», chiede Michele Vietti dellUdc. Ad An e ai centristi che denunciano lassenza del Guardasigilli il capogruppo del Campanile Mauro Fabris spiega che Mastella non vuole alimentare «le sceneggiate» di Di Pietro. Anche il ministro per le Infrastrutture viene attaccato dalla Cdl. Con la sua spola in aula tra gli scranni del governo e quelli dellIdv, «è senza dignità», dice Sandro Bondi di Fi. «Una protesta poco seria», aggiunge Maurizio Gasparri di An. «Fa il ministro sospeso a intermittenza, è il transgender delle istituzioni - sbotta il leghista Roberto Castelli-. Sarà contento Prodi: questo governo è sempre più sexy».
Anche nellUnione ne hanno fin sopra i capelli di questi episodi da «cavalleria rusticana», come dice Gennaro Migliore del Prc. Nicola Latorre dell'Ulivo avverte che «i ministri non scendono in piazza a manifestare». Ma anche oggi lex pm di Tangentopoli sarà a un sit-in davanti alla Camera.
Per tutta la giornata tra Mastella e Di Pietro è un botta e risposta alla stricnina. «Non c'è meno rigore morale in chi vota per l'indulto rispetto a chi non lo vota», dice il ministro della Giustizia. E contesta la tesi di Di Pietro che si vogliano salvare corrotti e corruttori. «Sarebbe inaccettabile. Semmai, è forzato da esigenze carcerarie e legato a drammi umani». Mastella è daccordo con il leader Ds Fassino: lindulto non è un cedimento etico e per dimostrarlo bisogna abrogare le leggi ad personam della Cdl. Si augura una conclusione positiva del voto in Parlamento e al leader dellIdv, che stigmatizza le sue assenze, risponde: «Non sono venuto in aula perché non ero in sciopero istituzionale e ho lavorato come ministro: siccome c'è il bicameralismo stavo affrontando al Senato l'onda d'urto che veniva dall'opposizione sulla discussione politica per il caso Di Pietro».
E lui, il Guardasigilli-ombra? «La mia non è una protesta, ma un accorato appello a questo Parlamento sordo, affinché possa ripensarci. Cè uno sbracamento parlamentare di maggioranza e opposizione», precisa. «Mastella sbaglia a prendersela con me - dice Di Pietro - che sono qui a difendere la legalità. Io rispetto la sua decisione di non venire in aula, ma criticare chi invece c'è mi sembra esagerato». Quando gli dicono della lettera di Mastella a Prodi, commenta: «Ci devessere un equivoco, io sul ministro della Giustizia non ho detto una parola». Poi insiste che nel programma dell'Unione «era chiaro che qualsiasi clemenza doveva seguire il riordino del sistema della giustizia ed escludere reati odiosi come corruzione, usura, estorsione e concussione».
Sullo scontro indiretto tra i due ministri interviene anche il presidente della Camera, Fausto Bertinotti. È un «problema politico», non tecnico e non impedisce la prosecuzione del dibattito e delle votazioni.
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