Stefania Scarpa
Almeno duemila detenuti nelle carceri romani potrebbero varcare la soglia verso la libertà dopo il provvedimento di indulto firmato ieri dal presidente della Repubblica. La maggior parte è rappresentata da extracomunitari arrestati dopo rapine, rapine improprie, ma anche tentati omicidi e persino assassinii. Per il magistrato di turno e gli impiegati dell’ufficio esecuzione della Procura capitolina, infatti, è cominciato il superlavoro per verificare quali e quanti casi rientrino nella nuova normativa. Sono circa tremiladuecento i fascicoli da esaminare a ranghi ridotti. Vale a dire da uno staff di otto persone che, nel pieno delle ferie estive, tra ferie e turnazioni, dovranno vistare il placet giudiziario che funziona come una sorta di «condono».
Dati, questi, che sono emersi da una prima ricognizione dello stesso ufficio che ha predisposto gli atti necessari per dare luogo all’applicazione della legge. Il magistrato firmerà materialmente la proposta di scarcerazione che poi sarà sottoposta al vaglio dei giudici dell’Ufficio del magistrato di sorveglianza. Uno stampato con le tre opzioni («Condannato da scarcerare», «Indulto non applicabile» e «Indulto da richiedere nella misura di anni tre») è già stato predisposto.
Intanto sulle scrivanie di piazzale Clodio da ieri è piombata la prima tranche di un migliaio di fascicoli, a centinaia sono perfino accatastati sul pavimento tanto che non c’è più posto in armadi e scaffali. Centinaia di moduli sono già stati barrati dal magistrato responsabile che sta esaminando i casi di detenuti «indultabili».
Per la statistica il primo caso preso in esame, nel quadro della predisposizione al lavoro, è quello di un colombiano, detenuto per rapina impropria.
Molti gli extracomunitari detenuti: ogni fascicolo contiene la storia di un dramma, di una tragedia, di un reato. La maggioranza, appunto, è rappresentata da detenuti extracomunitari, e il reato è quello della rapina. Ma non mancano i tentati omicidi e gli omicidi. È il caso di un tentato omicidio compiuto da uno straniero di origine africana con un cacciavite affondato per decine di volte nella schiena di un connazionale.
Nessuno nell’ufficio di piazzale Clodio si lamenta ma l’aria che si respira non è certo di serenità. «Il personale è poco e allo stremo - si lascia sfuggire qualcuno - e il lavoro da svolgere è al limite dell’impossibile».
Lavoro che anche qualche magistrato della procura, dopo l’indulto, giudica inutile se poi i processi che si celebreranno tra qualche anno riguarderanno imputati, come i colletti bianchi delle indagini di corruzione e le indagini finanziarie, che beneficeranno del provvedimento. «Un processo per bancarotta che tra l’altro costa materialmente migliaia di euro alla collettività per consulenze e altro - spiega un magistrato - rischia di non servire a nulla. Insomma lavoreremo, si faranno indagini, istruttorie, che porteranno a un nulla di fatto. Sarebbe stata meglio a questo punto un’amnistia che, estinguendo il reato non avrebbe finito per ingolfare gli uffici giudiziari».
Tra le inchieste che potrebbero essere spazzate via dall’indulto-condono a Roma vi sono, fra tutte, quelle sulla scalata a Rcs che vede indagato per aggiotaggio l’immobiliarista Stefano Ricucci, le indagini sulle scalate bancaria Antonveneta e Unipol-Bnl, che coinvolgono tra gli altri l’ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio e l’ex numero uno di Unipol Giovanni Consorte.
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