Oltre 130 corpi carbonizzati o dilaniati. Il ministero della Giustizia semidistrutto come un edificio bombardato. Attorno decine di auto in pezzi, colonne di fumo nero che si alzano dalla «zona verde» e ambulanze che vanno e vengono nella disperazione e nella frenesia generale per salvare e curare gli oltre cinquecento feriti rimasti coinvolti nellattacco. Molti colpiti da schegge di muri e vetrate anche a distanza di diversi isolati dal luogo dellesplosione. Lappuntamento con linferno segnava le 10.15 dellorologio ieri a Bagdad. A distanza di dieci minuti luna dallaltra, due autobomba guidate da altrettanti kamikaze hanno messo a segno la peggiore strage da oltre due anni a questa parte. Almeno 136 morti nella superprotetta «zona verde», in quella via Haifa poco lontana dal Tigri.
Un colpo al cuore della città e delle sue istituzioni. La prima auto ha puntato infatti sul ministero della Giustizia, del Lavoro e degli Affari sociali e sarebbe esplosa allultimo posto di blocco prima delledificio. La seconda ha colpito la sede del governatorato di Bagdad. Lo ha fatto mentre i palazzi del governo erano affollatissimi nella città, in cui la domenica è un giorno lavorativo come altri.
«È terrorismo contro il processo democratico, contro le elezioni libere nel nostro Paese», tuona il premier Nuri Al Maliki, candidato alle legislative di gennaio. «Questi attentati codardi non devono indebolire la risolutezza degli iracheni nel continuare il loro viaggio contro il baathismo e contro Al Qaida. Che lobiettivo siano le elezioni lo conferma anche lex rappresentante speciale del segretario generale dellOnu, Staffan de Mistura: «È il tentativo da parte dei terroristi di produrre tensioni e destabilizzare in vista del voto».
È polemica, invece, sulle misure di sicurezza.
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