Influenza suina, vietato agli iraniani andare in pellegrinaggio alla Mecca

Teheran ha messo il veto: gli iraniani quest’anno non andranno alla Mecca e a Medina per il pellegrinaggio durante il mese di ramadan; i ministri della Sanità dei Paesi islamici hanno imposto limiti: partiranno soltanto le persone tra i 12 e 65 anni; l’Arabia Saudita, il grande ospite, chiederà a milioni di musulmani un certificato di buona salute. La paura della diffusione dell’influenza A, meglio nota come suina, ha infatti colpito gli Stati musulmani e il quinto pilastro dell’islam: l’hajj, il pellegrinaggio alla Mecca, dovere di ogni fedele. Si terrà a novembre, ma prima migliaia di persone da tutto il mondo arriveranno per portare a termine la umrah, o piccolo pellegrinaggio, che il musulmano può compiere quando desidera. Molti però preferiscono farlo nel mese sacro del digiuno, Ramadan, che inizia a fine agosto. Ogni anno sono almeno tre milioni i pellegrini che partono da 160 Paesi - dall’Asia al Nord Africa passando per il Levante - verso le città sante della Mecca e Medina. L’Arabia Saudita emette un numero limitato di visti per ogni nazione. Quest’anno, tutto è complicato dai timori della nuova pandemia. Il primo vaccino, secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, potrebbe essere pronto soltanto a settembre. In Arabia Saudita ci sono già stati 300 casi d’influenza e una vittima. In Iran sono state affette circa 150 persone e il regime ha smentito un decesso. In Egitto è morta una ragazza. I sauditi stanno già lavorando a un piano d’emergenza: scanner termici all’aeroporto di Jeddah, un team medico di 550 tra dottori e infermieri e una struttura con 500 posti letto dove spedire i pellegrini con sintomi sospetti all’arrivo.
Non è la prima volta nella storia del pellegrinaggio che un’epidemia crea lo stato d’emergenza. Nel passato si temevano terribili piaghe, difficili da curare e arginare: colera, tifo, febbre gialla, peste. Soltanto nel 1946 le autorità religiose egiziane chiesero ai fedeli di non viaggiare a causa del colera. Nel 1865, sempre per il colera, secondo il libro di Daniel Long, «The Hajj Today», oltre 15mila pellegrini furono colpiti dalla malattia. Pochi anni prima, nel 1839, il sultano Mohammed II stabilì a Costantinopoli il Consiglio superiore della sanità, abolito nel 1923. Oggi, è il governo saudita a occuparsi delle questioni sanitarie e la decisione di imporre limiti al pellegrinaggio ha suscitato il dibattito: il Gran Mufti egiziano Ali Gomaa ha dichiarato che chi non rispetterà le condizioni delle autorità sarà considerato un peccatore. Sul quotidiano saudita a Sharq el Awsat l’editorialista Abdul Rahman Rashid ha parlato di «misura necessaria» per chi si trova in posizioni di responsabilità. Ma non mancano uomini di religione che gridano allo scandalo e ritengono ingiusto vietare ai fedeli di portare a termine un dovere.

C’è anche chi eleva le vittime dell’influenza suina a martiri dell’islam: «Chi muore affetto dal virus muore come un martire secondo la religione islamica - ha detto a un giornale Abdel Muhsin al Abikan, del ministero della Giustizia saudita, ricordano che per Maometto chi era ucciso dalla peste, secondo il funzionario equiparabile all’influenza A, era un martire. Come ricordano gli hadith, i detti del Profeta: «Narrato da Anas bin Malik: l’Apostolo di Allah disse: “La morte per peste è martirio per ogni musulmano”».

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