Inni, bandiere, salari: ma la partita vera è il voto 2010

Roma - La Lega alza la voce. In dialetto, però. «A Cgil siopara contro el Nord», titolava ieri la Padania, in edicola con una doppia prima pagina: in lingua veneta e in italiano.

È uno dei sintomi che il Carroccio, di lotta e di governo, ora preme l’acceleratore sulla lotta. Ronde, reato di clandestinità, federalismo fiscale sono già stati messi nel carniere ma Bossi vuole qualcosa di più. Consapevole che tenere alte le sue storiche bandiere porta consensi e credibilità a valanga, il Senatùr ora ha scelto almeno tre filoni da cavalcare: bandiere e inni regionali da elevare a rango costituzionale; studio della storia, del dialetto e delle tradizioni regionali nei programmi didattici; adeguamento dei salari al costo della vita nelle diverse aree del Paese attraverso la contrattazione territoriale. Provocatorie o meno, le proposte fanno rumore, fanno discutere ma soprattutto fanno della Lega una delle forze trainanti della coalizione di centrodestra. Il disegno è quello di chiedere, alzare la posta, pretendere. Qualcosa verrà concesso, qualcosa d’altro no. L’importante è sbattere i pugni sul tavolo: se è una forzatura parlare di «pontidizzazione» della maggioranza, di certo il Carroccio ha ambizioni e velleità importanti.

Forte della particolare sintonia con Berlusconi, Bossi sa che nei prossimi mesi si dovrà giocare la partita vera: quella delle candidature per le regionali del 2010. La Lega da tempo sogna il Lombardo-Veneto ma in quella zona entra in rotta di collisione con due pezzi grossi del Pdl, entrambi saldi sulla poltrona da governatore. Quello della Lombardia, Roberto Formigoni, sarebbe «blindatissimo», specie dopo aver incassato quel «presidente a vita» da Berlusconi in persona. Quando il Cavaliere ha re-investito Formigoni, Bossi era presente e ha pure applaudito: segno che per il Pirellone il Carroccio c’ha messo una pietra sopra. L’altro campo caldo, quindi, resta il Veneto retto da Giancarlo Galan, al centro di molti voci nelle ultime ore. E non è un caso che il governatore veneto venga ora corteggiato dal Pd, bramoso di incunearsi negli antichi dissidi tra Lega e Pdl in zona e speranzoso di mandare a gambe all’aria l’alleanza. Un patto velato da ruggini che si acuiscono proprio perché la presidenza del Veneto fa davvero gola al Senatùr. In verità anche Galan aveva avuto rassicurazioni dal Cavaliere, prima delle ultime elezioni europee. A rigor di matematica: se il Pdl, vincendo le elezioni, in Veneto avesse ottenuto più voti del Carroccio, perché cambiare? Così è andata.

Bossi quindi cederà anche su questo fronte? Si accontenterà dei suoi probabili candidati in Piemonte, Liguria ed Emilia-Romagna? I colonnelli leghisti non si sbilanciano, anzi: si tappano la bocca e si limitano a dire che «È solo il capo, Bossi, che si occupa della trattativa con Berlusconi». Una trattativa che si preannuncia tesa.

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