Le inquietudini di un drammaturgo cittadino del mondo (suo malgrado)

L’insurrezione dei popoli arabi contro i reazionari che li governano. Ci aspetta un caos stupendo

Le inquietudini di un drammaturgo cittadino del mondo (suo malgrado)

Vi sono persone - molto rare, naturalmente - le quali dicono tutto quello che altre non vogliono o non osano dire. Tra queste Marcel Clément, che ne L'uomo nuovo riporta parole apparse sul giornale arabo El Mouhadjid del novembre 1973: "Alzeremo tanto il prezzo del petrolio, a un punto tale che diventerà più caro di qualsiasi altra forma di energia, sollecitando così i consumatori a gettare nella contesa capitali immensi. In un secondo tempo abbasseremo bruscamente il nostro prezzo, e rovineremo chi avrà provato a fare a meno di noi". Per il momento, gli emiri arabi investono i loro capitali in Europa. Comprano quantità enormi di partecipazioni nelle industrie europee, strade intere a Parigi e altrove. Non abbiamo voluto l'egemonia economica americana, avremo l'imperialismo economico degli arabi. La cosa non è certa; nel frattempo, forse, la Russia sovietica avrà satellizzato l'Occidente. Paradossalmente, in questa maniera, essa forse ci potrà salvare. Avremo un fronte unico dei banchi, contro gli arabi e i mongoli; può anche darsi che il fatto risveglierà l'orgoglio dei francesi, degli inglesi o degli italiani, i quali affermeranno energicamente se stessi, crederanno in sé, nel proprio valore, proprio perché si vedranno negati. Il problema, purtroppo, va posto così. Il conflitto di razze, che non si credeva più possibile, deflagrerà, forse, con violenza rinnovata. I capi arabi dicono senza mezzi termini che ci conquisteranno. Non li crediamo. Hitler diceva che voleva distruggere la Francia, non volevamo crederlo, e tuttavia Mein Kampf veniva tradotto in francese. Marx dice, in modo chiaro, che ci sarà inevitabilmente una "guerra rivoluzionaria mondiale" e che bisogna prepararla. Ciò nonostante si credeva, si crede ancora, contro l'evidenza, alla coesistenza pacifica. Ci sarà forse, in ogni caso, un cambiamento: l'Europa, l'Occidente con la Russia in testa, contro tutti gli altri. Ma la Russia già presenta fenomeni di degenerazione. Forse succederà qualche altra cosa: l'insurrezione di rivoluzionari che questa volta avranno ragione di essere tali, dei popoli arabi contro i reazionari che li governano. Ci aspetta un caos stupendo, ma suscettibile di analisi.

Tentazione di dichiararmi dimissionario, invece debbo resistere, resistere. Sento su di me tutto il peso del mondo. Naturale che mi senta schiacciato: sono completamente solo. L'impressione, ecco, che il mondo è affar mio, e che debbo sistemare tutto. Chiarire tutto, quando non sono chiaro neppure a me stesso. Che orgoglio, da parte mia. Mi sento responsabile di tutto. Ogni mattina mi sveglio nell'angoscia, che è incessante, delle insonnie, degli incubi. Debbo garantire le frontiere dello Stato di Israele, convincere gli arabi a fare la pace con gli ebrei. Debbo convincere i rivoluzionari che, se arrivano al potere, possono instaurare solo terrore per chi, una volta al potere, non sono più la rivoluzione, ma la repressione. Oppure convincerli che, se vogliono il terrore, coscientemente o no, non debbono volerlo più. Debbo restituire agli Occidentali la fiducia in se stessi. Debbo convincere gli uomini a non detestarsi più, ma ad amarsi. Insomma, se tra loro regnasse, se non l'amore, l'amicizia, tutti gli altri problemi potrebbero risolversi facilmente. Qualcuno ha già voluto far questo: Dio. Non c'è riuscito. Bisognerebbe essere più forti di Dio.

Il crimine contro la parola, contro il sistema dl pensiero in vigore, contro il linguaggio. Spesso, un nuovo linguaggio sembra più pericoloso della rivolta violenta. Si insinua, prepara cambiamento, contesta. In questo modo, il pensiero al potere è preso in trappola. La sovversione può essere nel linguaggio: il linguaggio anzitutto. La trasformazione mentale determina tutte le trasformazioni. Nel mio mestiere, che è quello del letterato e dell'uomo di teatro, constato che alcuni critici letterari o drammatici si accorgono del pericolo, lo intuiscono. Questi critici possono apprezzare, ammettere opere ideologicamente rivoluzionarie che non sconvolgono però la scrittura, la lingua. il teatro, la letteratura, le forme in scultura o in pittura, eccetera. Un'opera che appoggia un movimento politico rivoluzionario, scritta in un linguaggio abituale, comprensibile al critico conservatore, sembrerà a quest'ultimo poco pericolosa, poco pericolosa quanto una favola. A Venezia, parecchi anni fa, in occasione di una Biennale in cui i pittori di tutti i Paesi avevano mandato le loro opere, eravamo ammirati e stupiti: che fervore di esperimenti, quante forme nuove, quante esperienze, quante invenzioni tra i pittori americani, francesi, tedeschi, inglesi, italiani, polacchi, che rinnovamenti nell'espressione artistica! Unico, il padiglione sovietico conteneva solo composizioni irrigidite, superate, stupide, morte.

La propaganda politica più piatta illustrava lo spirito decrepito dei dittatori della cultura. Vedevamo là il regno della esasperata politicizzazione, che uccideva ogni arte, ogni pensiero. Non erano molti a visitare quel padiglione sconfortante. Tuttavia un veneziano attempato, un borghese con monocolo e ghette, se ne stava là, radioso, e incoraggiava la gente ad entrare nel padiglione.

Ripeteva: "Guardate, ma guardate! Finalmente una pittura vera, dei grandi artisti! Che disgrazia siano bolscevichi". Il vecchio borghese sarebbe stato felice, tuttavia, in mezzo ai bolscevichi, soddisfatto se fosse stato nominato direttore di un museo o ministro delle Belle Arti in Russia.

(19 gennaio 1975)

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