«Ragazzi forza, tirate fuori le idee. Qualcuno riderà. E allora? Vorrà dire che qualcun altro le apprezzerà». Daniele Manni, docente di informatica all'istituto Galilei Costa di Lecce, non è certo il tipo di professore che sta dietro la cattedra e chiama gli studenti alla lavagna. Lui insegna a sfoderare buone intuizioni e a farle diventare un'impresa vera e propria.
Si può dire che lei sia docente di start-up?
«Fino a poco tempo fa a scuola mi chiamavano il fuorilegge, perché insegnavo materie inesistenti, che si discostavano di gran lunga dal programma canonico. Da quest'anno il ministero all'Istruzione ha autorizzato l'istituto a un corso sperimentale di start up. E l'ora di imprenditorialità sarà ufficiale, non più un'ora inventata da me».
Di fatto cosa insegna?
«Ad avere idee e a farle diventare un progetto imprenditoriale, un prodotto da lanciare sul mercato, con un profitto vero».
E funziona?
«Un mio studente ha realizzato magliette con la scritta Salento loves me e ne ha vendute 2.500 in una sola estate. Un altro, Antonio Scarena, ha iniziato vendendo spazi web, una sorta di cassetti virtuali dove parcheggiare i propri video giochi, poi ha ampliato l'idea creando siti web. Tre anni fa abbiamo anche avviato una onlus».
Cioè insegna anche a fare impresa con sfondo sociale?
«Sì. Così è nata l'associazione Mabasta contro il bullismo che organizza iniziative e raccolte di fondi. Oppure ci sono gli Ecoisti che hanno realizzato etichette da allegare a ogni bidone della spazzatura per con la scritta Che ti costa?.
I ragazzi che dicono?
«Sono felicissimi, sono un vulcano di idee. Fino a qualche anno fa capitavano in classe con me per caso, ora si iscrivono all'istituto apposta per i miei corsi».
E i colleghi?
«All'inizio, come può immaginare, erano scettici e dalle altre scuole mi hanno fatto un po' di ostruzionismo. Poi hanno cambiato atteggiamento quando hanno visto che ero tra i finalisti del Global teacher prize e tra quelli di un altro premio internazionale dedicato all'innovazione e all'imprenditorialità».
Immagino l'abbiano candidata i suoi studenti. Già questa è una vittoria.
«Sì, tutta colpa loro. Non so ancora precisamente di chi ma ho ridotto la rosa dei papabili a tre nominativi».
Qual è il suo modello di insegnamento?
«Stimolare, condividere, creare un linguaggio comune. E non far percepire la scuola come qualcosa di immobile e fuori dal mondo. Non possiamo insegnare come si faceva trent'anni fa».
Come fa?
«Uso i loro strumenti. Durante la spiegazione lascio apposta delle falle e loro devono cercare le informazioni mancanti su Google».
Quindi non
vieta i telefoni in classe?«Al contrario. Per me sono obbligatori. Sono strumenti di insegnamento. Piuttosto, sto cercando di non far perdere l'abitudine a usare il computer. A casa non ce l'ha quasi più nessuno».
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