Praga - Bisogna «ascoltare» le due piazze, «farle dialogare», si è sgolato a sostenere Piero Fassino. Spiegando che i ds non potevano stare né di qua né di là, né con i laici né con i cattolici, né con chi difende le unioni di fatto né con chi condanna gli infernali Dico del governo.
La ricetta dell’equidistanza però non ha funzionato un granché, e i Ds si son ritrovati tra la padella e la brace, processati in contumacia da entrambe le manifestazioni, sbeffeggiati a piazza Navona per la loro mancanza di «coraggio laico», con Emma Bonino che li accusava dal palco di «averci lasciati soli» tra le grida di «vergogna» della folla; attaccati a piazza san Giovanni per il loro sostegno a una legge «contro la famiglia». E nella Quercia cresce il malessere di chi vede nel connubio forzato coi cattolici della Margherita nel futuro Partito democratico il rischio di perdere identità e voce autonoma. Ieri lo ha denunciato apertamente una dirigente di primo piano come Mercedes Bresso, governatrice del Piemonte: «Nei ds sento in giro molta delusione, e non solo tra chi aveva aderito alle mozioni di Angius e Mussi, ma anche tra tanti compagni della mozione Fassino», spiega Bresso. Che annuncia: «Dopo il Family day credo che sia indispensabile che nel Pd qualcuno si faccia carico di difendere i valori della cultura laica». Per questo, già nella riunione del parlamentino della Quercia prevista per domani, la presidente del Piemonte lancerà l’idea di «una componente che lavori a questo obiettivo», un «polo laico» che potrebbe concretizzarsi nella presentazione di una lista alle elezioni di ottobre per la Costituente del Pd. Un proposito che potrebbe smuovere parecchio le acque, e creare difficoltà a chi, ai vertici di Margherita e Ds, vuol pilotare senza scosse quell’appuntamento. Anche perché la Bresso si dice certa che la nuova «corrente» possa diventare trasversale: uno come il dl Dario Franceschini «è stato il primo a dire che riconoscere il magistero della Chiesa e il suo diritto a esprimerlo non vuol dire che lo si possa imporre ai cattolici in politica».
Che ci sia un crescente malessere fra i ds su questi temi cruciali lo dimostra lo stillicidio di defezioni pesanti che il partito sta subendo, motivate anche dalla «rinuncia» del partito a «valori fondanti» come la laicità dello Stato e della politica: da Angius a Mussi, da Peppino Caldarola a Roberto Barbieri, da Fulvia Bandoli a Franco Grillini. E un leader che conosce bene il suo popolo, come Massimo D’Alema, si è accorto che l’«equidistanza» di Fassino non bastava, che scivoloni come la difesa di Rosy Bindi fatta da Anna Finocchiaro sul rifiuto di invitare i gay alla conferenza sulla famiglia rischiavano di aumentare l’insofferenza, e regalare all’ala sinistra e laica dell’Unione, dalla Rosa nel pugno a Rifondazione, un argomento forte per drenare consensi diessini al Pd. Per questo ha voluto lanciare un segnale rassicurante alla base, con quell’attacco diretto a Rutelli, alla vigilia del Family day: «Io non ci andrei, perché non si difende la famiglia scagliandosi contro le coppie che convivono senza essere sposate». Ma è un segnale che difficilmente basterà. Il dirigente dalemiano Gianni Cuperlo dice di «condividere» il problema posto dalla Bresso: «Ma la soluzione non credo sia una corrente laica: tutto il Pd deve diventare un partito a forte tasso di laicità, se non ne facesse un valore fondativo non avrebbe senso e sarei il primo a dire che non capisco le ragioni per farlo». Ma proprio la sofferta (e per ora anche fallita) esperienza dei Dico, secondo Cuperlo, dimostra che «è un percorso che si può fare, trovando mediazioni efficaci tra culture diverse».
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