Intercettazioni, un freno al «Grande Orecchio»

RomaCon il voto di fiducia al governo l’aula della Camera dice sì al disegno di legge sulle intercettazioni con 325 sì, 246 no e 2 astenuti. Ma solo oggi ci sarà l’approvazione finale, prima del passaggio al Senato. E sembra che il Pd voglia chiedere il voto segreto.
Le nuove norme, che da un anno si discutono tra mille polemiche, pongono un freno all’abuso di questo strumento da parte dei magistrati e forti limiti alla stampa. I pm dovranno dimostrare che esistono «evidenti indizi di colpevolezza» per ottenere da un gip collegiale l’autorizzazione ad ascoltare le conversazioni e solo per le indagini di mafia e terrorismo basteranno «sufficienti indizi di reato». Se i pm faranno dichiarazioni sui casi di cui si occupano avranno l’obbligo di astenersi e potranno essere sostituiti se indagati per rivelazioni del segreto d’ufficio. Le intercettazioni saranno possibili per i reati con pene oltre i 5 anni e per massimo 60 giorni. Ci sarà un tetto di spesa stabilito dal ministero, sentito il Csm. Un archivio riservato custodirà nelle Procure verbali e telefonate. I cronisti potranno pubblicare gli atti di indagine solo per riassunto, rischiando il carcere (anche se commutabile in pena pecuniaria) se pubblicano intercettazioni per cui è stata ordinata la distruzione.
Le opposizioni, però, cercano di sbarrare la strada. Ieri mattina i capigruppo parlamentari di Pd, Idv e Udc hanno scritto al Presidente della Repubblica per chiedere il suo intervento: «Il continuo ricorso alla fiducia - sostengono Antonello Soro, Massimo Donadi e Michele Vietti - compromette pericolosamente l’equilibrio che la Costituzione disegna tra governo e maggioranza e tra maggioranza e opposizione».
Per il ministro della Giustizia Angelino Alfano sono proteste immotivate: «La fiducia è uno strumento previsto dall’ordinamento giuridico. Questa giunge dopo un anno di permanenza del ddl in questo ramo del Parlamento ed è ipocrita chi sostiene che c’è stata una strozzatura del dibattito». Il Guardasigilli è «fiducioso» che il Senato non modifichi il testo, anche se Gaetano Pecorella dice il contrario.
Protesta l’Associazione nazionale magistrati, che parla di «morte della giustizia penale in Italia», pensando anche alla riforma del processo penale in discussione al Senato: «Le nuove norme impediranno alle forze di polizia e alla magistratura inquirente di individuare i responsabili di gravissimi reati. Sarebbe stato più serio e coerente abrogare l’istituto delle intercettazioni». Teme limiti alle indagini anche Pietro Grasso, procuratore nazionale antimafia.
E scendono in campo, con un’iniziativa comune, i sindacati di giornalisti ed editori. Fnsi e Fieg si appellano al parlamento perché corregga «norme anticostituzionali». «Se la legge sarà approvata - annuncia il segretario Fnsi Franco Siddi, - siamo pronti allo sciopero e alla disobbedienza civile».


Tra i leader politici più infuocati c’è Antonio Di Pietro, che parla di nuovo lodo Alfano e di «amnistia permanente». Lanfranco Tenaglia del Pd lancia l’allarme sul rischio di inutilizzabilità delle riprese delle telecamere sulle strade, che sarebbero equiparate alle intercettazioni. Ma Niccolò Ghedini del Pdl smentisce tutto.

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