Interdire il premier? Può capitare solo in Italia

Siamo l’unico Paese al mondo in cui è possibile, come starebbe accadendo in questi giorni, che un Pm chieda di interdire dai pubblici uffici addirittura il capo del governo e che per questo motivo giunga perfino a litigare con il proprio capo, il quale invece non sarebbe d’accordo.
Si noti, fra l’altro, che non si tratterebbe neppure di provvedimenti emessi dopo la fine di un processo nel cui ambito sia stata accertata in modo completo l’ipotesi accusatoria, ma soltanto di misure cautelari da adottare in via provvisoria ed urgente: come dire misure che poi potrebbero svanire nel nulla.
Già soltanto pensare che ciò sia davvero accaduto, che cioè tale richiesta sia stata seriamente avanzata, non può che preoccupare vivamente, in quanto, se essa fosse accettata, si aprirebbero le porte ad una rimozione d’ufficio, adottata in via provvisoria ed urgente, operata da una Procura a carico del capo di un governo democraticamente eletto.
Verrebbe allora da chiedersi a chi mai oggi di fatto appartenga la sovranità, quella sovranità che la nostra carta costituzionale si ostina, nonostante tutto, a riservare al popolo.
Forse alle procure? O a quale altro eventuale organo dello Stato? Chi mai infatti potrebbe soltanto permettersi di pensare una cosa simile?
Eppure, l’Italia di oggi è questa e bisogna purtroppo prenderne atto, mentre una cosa per molti versi incomprensibile e perciò assai grave è che la sinistra pensante (quella cioè non accecata dall’anti-berlusconismo preconcetto) mostra di non averlo capito.
Possibile che nessun intellettuale o esponente politico di questa sinistra non comprenda come un atto del genere che metterebbe nel nulla, con «provvisoria urgenza», il consenso politico di decine di milioni di elettori italiani, al di là delle intenzioni (che dobbiamo presumere le migliori possibili) dei suoi autori, di fatto rappresenterebbe uno scardinamento irreparabile di tutto il nostro sistema istituzionale?
Non solo. Ci sono anche da porsi altri due interrogativi assai inquietanti.
Il primo. Si vorrebbe sapere come mai l’intercettazione disposta dalla procura di Trani sia andata a scovare proprio quella conversazione, oggi incriminata, fra Berlusconi ed il direttore del Tg1.
In altre parole: si stava già svolgendo un’altra inchiesta nel cui ambito è stata effettuata, guarda caso, quella intercettazione? Ed in questa ipotesi, di che inchiesta si tratta? Chi coinvolge? Perché?
Oppure, forse, non c’era in corso nessuna inchiesta specifica e si cercava soltanto di reperire una possibile notizia di reato?
Il secondo.

Come è possibile, ascoltando le affermazioni e le conversazioni puntualmente riportate dai giornali, ipotizzare addirittura il reato di concussione?
E poi: a carico di chi? Di Minzolini o di Berlusconi? Sarebbe il capo del governo a «concutere», vale a dire a minacciare il giornalista per ottenere il blocco della trasmissione di Santoro? Oppure, sarebbe Minzolini, istigato da Berlusconi, a «concutere» qualche funzionario della Rai allo stesso scopo?
Come è possibile dal semplice fatto che Berlusconi si lamenti delle trasmissioni di Santoro o dall’appellativo che egli riserva a Minzolini (chiamato, pensate un po’, «direttorissimo»), far derivare seriamente il presupposto necessario per ipotizzare addirittura la concussione, che invece presuppone una minaccia seria del concussore verso il concusso, tale da costringerlo a tenere il comportamento voluto?
Ma ce lo vedete davvero Minzolini, da trent’anni sulla breccia nazionale del giornalismo, a farsi preda di quel «metus publicae potestatis» (timore della potestà pubblica) che lo indurrebbe ad obbedire ciecamente alle minacce di Berlusconi?
Sono favole per bambini o escogitazioni fantasmatiche: null’altro.
Eppure favole o escogitazioni capaci, in astratto, di far cadere un governo.

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