Renzi incontra Verdini e blinda il patto col Cav

Il premier vede a pranzo l'emissario di Forza Italia: "Sulle riforme andiamo avanti come un rullo compressore". E assicura: "Il 15 aprile Cdm sugli 80 euro in busta paga"

Il premier Matteo Renzi stringe la mano a Denis Verdini
Il premier Matteo Renzi stringe la mano a Denis Verdini

Un summit con gli ambasciatori di Berlusconi, Denis Verdini e Gianni Letta; un faccia a faccia col ministro Pier Carlo Padoan. Poi Matteo Renzi si affaccia in tv, a Otto e mezzo, e annuncia che «le riforme andranno avanti, vado come un rullo compressore», che «per quanto mi risulta, Forza Italia sta dentro l'accordo», perché «Berlusconi ha fatto una scelta molto importante, quella di sedere al tavolo delle riforme pur pensando tutto il male possibile di questo governo». E che martedì verrà presentato il Def con le coperture, e entro il 15 aprile i provvedimenti per destinare i famosi 80 euro in busta paga.
Il premier non lesina battute corrosive sulla fronda interna e sulla proposta Chiti sul Senato, alternativa alla sua, «molto interessante», ma «senza alcuna chance di passare», e quindi «esercizio retorico» ma inutile. Né ai «professoroni» che ora denunciano come «autoritaria» la sua riforma, peccato che «trent'anni fa fosse Rodotà a chiedere di abolire il Senato».
L'incontro con Verdini di sorpresa non ha nulla, visto che era stato messo in agenda domenica in un precedente colloquio, ed è servito a fare il punto sulle riforme. Senato, Italicum, titolo V: i tre pilastri del patto del Nazareno. Che Berlusconi, assicurano sia dal fronte interno che da quello renziano, non ha alcuna intenzione di far saltare. Ma ha bisogno - anche lui, come la minoranza Pd - di far vedere che qualche modifica la ha portata a casa. Persino Civati lo ammette: «Se poi il Pd decide a maggioranza, anche noi voteremo la proposta». Modifiche non sui paletti messi dal premier (niente elettività, no alla fiducia, niente indennità), ma sul contorno. «E su quello», assicurava alla vigilia un ottimista Verdini, «l'accordo si trova in un'ora». Il colloquio è durato poco di più, e c'è chi insinua che si sia trovato il tempo per parlare anche d'altro, come la futura tornata di nomine, vista anche la presenza di Gianni Letta. Ma dal fronte renziano si nega, e si assicura che su quel versante il premier non si fa tirare la giacca da nessuno. Sulle nomine non si sbottona: «Scaroni? L'ho visto a pranzo. Eni è fondamentale per l'Italia, sull'eventuale conferma dell'attuale amministratore terremo conto di questo aspetto».
Sulla riforma del Senato l'intesa - confermano le due parti - è praticamente fatta, e d'altra parte il governo, come sul decreto Lavoro, si è prudentemente lasciato lo spazio per fare alcune concessioni. Ad esempio quel pacchetto di 21 senatori della «società civile» di nomina quirinalizia, secondo i maligni, sarebbe stato infilato all'ultimo nel progetto Boschi per le frenetiche pressioni della lobby degli alti funzionari, ma con l'idea di lasciarlo comunque cadere in aula. E visto che Forza Italia ne reclama la soppressione, potrebbe essere uno dei punti su cui il governo «cede» all'opposizione, con reciproca soddisfazione. Berlusconi, ragionano nel governo, «non ha alcun interesse a mollare ora solo a noi la bandiera delle riforme, e tanto meno di provocare una rottura che rischia di portare ad elezioni anticipate». Quindi si andrà avanti, ben sapendo che se da Forza Italia si alza la voce è più che altro per cercare di non lasciare a Grillo il monopolio dell'opposizione nella campagna elettorale per le Europee. Il possibile travaso dei voti di Forza Italia verso M5S peraltro, preoccupa anche il Pd.

«In un paese normale», dice un esponente autorevole del governo, «l'udienza per la condanna di Berlusconi verrebbe spostata a dopo le elezioni europee, per evitare influenze indebite sulla campagna elettorale». Anche se Matteo Renzi, ufficialmente, tiene il punto: «Non va fatta confusione tra le riforme e le questioni giudiziarie che riguardano Berlusconi».

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