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Bruti Liberati rischia il posto

Esce sconfitta la linea di chi sosteneva che alla procura di Milano va tutto bene. Messa in discussione la capacità di Bruti di gestire l'ufficio in modo conforme alle regole. Si apre così un periodo di estrema incertezza

Bruti Liberati rischia il posto

Il Consiglio superiore della magistratura si spacca ma, contro ogni previsione della vigilia, non insabbia: e, a stretta maggioranza, prende una decisione che apre un periodo di estrema incertezza per la Procura della Repubblica di Milano. A questo punto, la possibilità che il procuratore Edmondo Bruti Liberati venga rimosso dall'incarico è diventata concreta. Sarebbe un evento senza precedenti per la Procura milanese. E le circostanze in cui lo scontro è arrivato a esplodere trascineranno le conseguenze ancora per chissà quanti anni.

La decisione cruciale è stata assunta oggi, dopo una riunione interminabile, dalla settima commissione del Csm, quella che si occupa di vigilare sul funzionamento interno degli uffici, e sul rispetto delle regole di assegnazione dei fascicoli di inchiesta: cioè proprio uno dei temi su cui si era concentrato l'esposto del procuratore aggiunto di Milano, Alfredo Robledo, che denunciava una serie di scelte illegittime da parte di Bruti, come l'assegnazione dei fascicoli sui casi Ruby, Sea ed Expo a pm diversi da quelli naturali: sullo sfondo, c'era la tesi di una gestione «politica» delle indagini da parte del procuratore, attraverso una cerchia di fedelissimi tra cui Ilda Boccassini.

Oggi, dopo avere interrogato nelle scorse settimane numerosi protagonisti e comprimari della vicenda, la settima commissione chiude i suoi lavori con una mozione che raccoglie tre voti favorevoli, due astenuti e un contrario, e che conferma il contenuto dell'esposto di Robledo. Solo nelle pieghe tecniche dell provvedimento si coglie il senso vero della decisione. Quelle in cui la commissione prende atto «con rilievi» di quanto emerso nella sua istruttoria: quelle due parole, «con rilievi», significano che è uscita sconfitta la linea di chi sosteneva che a Milano va tutto bene, e che le regole vengono rispettate. I rilievi critici ci sono. E, secondo passaggio chiave, gli atti vengono trasmessi ad un'altra commissione del Csm, la quinta: cioè quella che si occupa di nominare i capi degli uffici, e di confermarli nel loro incarico dopo i primi quattro anni. Vuol dire che in quelle carte ci sono notizie che mettono in discussione la capacità di Bruti di gestire l'ufficio in modo conforme alle regole.

Insieme a questo, la settima commissione decide di mandare tutto al ministro e al procuratore generale della Cassazione, perché valutino se mettere Bruti Liberati e il suo accusatore Robledo sotto procedimento disciplinare. Ma è una ipotesi che allo stato appare remota. Il punto cruciale è quello che riconosce, almeno in parte, la fondatezza degli esposti di Robledo. Sembrava improbabile che una posizione «forte» come quella di Bruti, sostenuto al momento della sua elezione non solo da Magistratura democratica ma da uno schieramento politico e istituzionale assai ampio, venisse messa in discussione così nettamente. Ma evidentemente le testimonianze di questi giorni, tra cui quella di un «grande vecchio» della procura milanese come Ferdinando Pomarici, non hanno lasciato altra scelta. Le inchieste milanesi più delicate di questi anni non sono state gestite dai pm che avrebbero dovuto gestirle. I risultati, le prove, le condanne già emesse restano tutti validi.

Ma la crepa nel quadro di compattezza della Procura milanese è diventata una voragine.

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