Il tuffo dei record del supersonico Baumgartner

Baumgartner, in caduta libera da 39mila metri, supera la velocità del suono. Attimi di terrore quando perde il controllo. "Quando sei in cima al mondo pensi solo a tornare vivo"

Il tuffo dei record del supersonico Baumgartner

Quelli della Red Bull non dimenticheranno mai una domenica come quella di ieri. Un bolide ha vinto sulla terra, un altro è venuto giù dal cielo. Sebastian Vettel va più veloce di tutti su un'automobile di formula Uno ma Felix Baumgartner supera qualunque fantasia e batte il muro del suono, lanciandosi in caduta libera da un pallone aerostatico, alla quota di trentanovemila e 43 metri. Libero, solo, senza aiuti di razzi, aerei, spinte. In compagnia di se stesso, di uno scafandro, di un paracadute, del vento. La sua velocità massima, quella del record, è stata di milletrecentoquarantadue chilometri all'ora, non so che cosa significhi per un comune terrestre abituato all'autovelox ma durante quel volo nel vuoto più totale, Felix Baumgartner, di anni quarantatrè, sembrava un pupazzo bianco, un balocco natalizio oppure un sacco lanciato dai marziani. Quando la porta della navicella si era aperta, l'austriaco si era affacciato come faremmo noi da un davanzale, per osservare il panorama. Sotto, più sotto di mai, quarantamila metri laggiù lontanissimo, c'era il mondo e, attorno, il silenzio siderale e il freddo.

Un balzo leggero e l'astronauta ha incominciato il suo volo. Precipitava, a un certo punto, improvvisamente vorticando su se stesso, sembrava aver perduto il senso dell'essere e dell'esistere, corpo morto, sgonfio. Ma si sentiva il suo respiro, regolare, non affannato, forse anche il battito del cuore, andava tutto okkey mentre scorrevano le immagini televisive dal centro di Roswell nel New Mexico, il territorio del mistero, l'area 51 dove si suppone che gli americani tengano nascosti gli alieni extraterrestri.
Là stavano gli scienziati della missione, quasi attoniti, scrutando i computer, controllavano i dati, la pressione, l'ossigeno, la temperatura, la velocità, sembrava un film, uno dei mille della serie di fantascienza spaziale, ma due stanze più in là le immagini tornavano umane davvero, i parenti di Felix, madre e affini, tenevano stretti i pugni, con gli occhi lucidi di lacrime, come se aspettassero il ritorno di un famigliare da un lungo viaggio. Prima la paura, poi la gioia.

Felix Baumgartner è credente, sostiene che Dio abbia voluto concedergli questa possibilità, salire in cielo, più in alto di chiunque, ascoltare il silenzio, quindi ridiscendere sulla terra per capire dove abiti la verità. Quando ha rimesso i suoi piedi, con una leggerezza come una piuma, sulla polvere secca del deserto, ha atteso appena qualche secondo prima di inginocchiarsi e alzare le braccia a quel cielo che aveva lasciato. Forse un ringraziamento.

Finora l'austriaco aveva scherzato, un balzo con paracadute dai grattacieli in Malesia e Taipei, il volo con tuta alare sulla Manica, il salto dalla mano del Cristo Redentore a Rio ma da due anni aveva deciso di sfidare il cielo, salendo fino dove nessuno poteva immaginare per poi lanciarsi velocissimamente nel vuoto, da solo, oltre il muro del suono.

Ha trovato i denari, i tecnici, lo sponsor, insieme, i soliti guai degli umani, le cause in tribunale dei concorrenti invidiosi, i rinvii dovuti al maltempo, gli incidenti meccanici, i

continui test di prova. Il giorno è arrivato, il momento per scrivere la storia. La porta della navicella si è aperta, un uomo si è lanciato, il record è stato stabilito. Ma, adesso, Felix Baumgartner è tornato sulla terra.

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