Dio, pancia e famiglia

Dio, pancia e famiglia è la vera trinità delle feste di Natale. C'è un incrocio di spirituale e viscerale, di religioso e intestinale. Con la crisi calano i consumi ma aumenta l'appetito. Ti senti un cappone all'ingrasso sacrificale, una boccona con un collo che poi si fa colon per sbucare nell'orifizio estremo.

A Natale sei un tunnel di transito del cibo, trasformato da delizia in immondizia. Feste bio-corporali, in cui gli affetti non si distinguono dagli affettati. I rapporti sociali si fanno tattili, fisici, abbracci e baci con saliva o risucchio, autentici corpo a corpo, pacche e carezze ai rotoli di ciccia. Come va? Mangio che è una meraviglia. Buona bulimia anche a te, estensibile in famiglia.

Quando si smette di mangiare, la conversazione verte sulle sue conseguenze. Non vado di corpo da tre giorni, mi sento una mappazza, ho la nausea, tutto 'sto zucchero fa stitichezza, prendi il bicarbonato, esci dal cesso che c'è il nonno con la diarrea. Le rimpatriate con i parenti lontani sono check-up grossolani: stai sciupato, ti vedo ingrasciato (che è molto più disgustoso di ingrassato), hai fatto 'na panza e tu un mazzo...

Il doppio mento, la pappagorgia, la faccia paonazza, la cravatta stretta al collo, la camicia bianca con macchia di ragù e bottone che salta perché la trippa cresce.

Il nonno che si apparta per esalare gas venefici, la zia che dissimula nella tosse un insopprimibile rutto venuto dal profondo. Non c'è niente di più carnale del Natale. I cuori si fanno di cotechino, le facce di marzapane.