Il comico si è fatto re e non sa più che fare

Il successo elettorale ha sorpreso Grillo e lo ha politicamente paralizzato. Non ha strategia, ha un’unica tattica: danneggiare gli altri grandi partiti

Il leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo
Il leader del Movimento 5 Stelle, Beppe Grillo

Guardavo ieri le immagini che di Beppe Grillo hanno pubblicato in Germania, negli Stati Uniti, in Francia e in Inghilterra. Hanno scelto soltanto quelle urlate: una testa rinascimentale dalla chioma bianca e una maschera contratta, scomposta, fuori dai gangheri, sopra le righe e sotto lo standard dei leader politici occidentali. Di qui la prima domanda: Beppe Grillo è un leader? Leader è una parola inglese che indica colui che leads, che guida, che precede, che è già dove gli altri saranno forse più tardi. In fondo ogni epoca o cultura ha espresso la stessa idea con parole simili fra cui quella del duce fascista, del duca, del Führer tedesco (il conducente, anche del tram), del grande timoniere cinese e del leader appunto.
Il leader precede: per idee che anticipano i tempi, non segue la folla, ma la crea. Viceversa il capopopolo, il Masaniello, il Cola di Rienzo, si mette alla testa di un rancore già diffuso ed esistente e lo segue esaltandolo, per radunare una truppa che già esiste allo sbando. Il capopopolo, se vogliamo seguire l'etimologia inglese, è un follower, uno che segue.

Di qui l'ovvio dilemma: Beppe Grillo è un capopopolo che segue un fiume già in piena dandogli voce, o è il leader che precede con le sue idee originali e le sue anticipazioni? È una domanda per ora non meno oziosa di quella sull'uovo e la gallina. E forse non lo sa nemmeno lui, che cosa è. Probabilmente è un laborioso follower che sta cercando di studiare alla svelta da leader. Somiglia a quei giocatori che con un sistema matematico perfetto vanno al Casinò per sbancare alla roulette e poi non gli bastano i camion per portarsi via una vincita sperata ma che va molto oltre le più rosee aspettative.
In tutto quello che fa quest'uomo certamente dotato di una marcia in più, oggi si nota una dose massiccia di incertezza e di prudenza, un ansioso desiderio di non gettare a mare la vincita che l'ha sorpreso e politicamente paralizzato. Prendiamo le sue dichiarazioni sull'atteggiamento che intende tenere di fronte a qualsiasi governo: non partecipare, ma votare di volta in volta quel che gli sembra buono. Dunque, ammette che prima ci sia già un governo e una maggioranza che abbia dato la sua fiducia al governo. E dunque, andando per esclusione, Grillo non può prefigurare altra maggioranza in Parlamento che quella formata da Pd e Pdl, perché non ne esiste un'altra.

Questa formula per lui sarebbe, pensa, la più comoda: i due partiti maggiori, da cui proviene il 90 per cento dei suoi elettori, dovrebbero logorarsi in un governo nato sulle uniche basi possibili: rifare la legge elettorale e varare riforme che possano ottenere il consenso di Cinque Stelle, come avviene in Sicilia. Grillo pensa che in questo modo il suo patrimonio possa solo crescere e quello dei due nemici chiusi nello stesso sacco, non possa che perdere consensi. Questa situazione dovrebbe durare fino al varo della legge elettorale che, una volta approvata, delegittimerebbe il Parlamento in carica e obbligherebbe a nuove elezioni nel giro di due anni al massimo, il cui esito sarebbe secondo lui più che una vittoria, una presa del potere.
Grillo però sembra desiderare questa soluzione senza farlo vedere, dando magari ogni tanto un buffetto e poi un cazzotto in fronte, al Pd cui si sente legato da un rapporto più viscerale di odio/amore (simbolicamente rappresentato da Dario e Jacopo Fo), ma la sostanza non cambia. Grillo oggi non ha una strategia da leader, anzi non ha alcuna strategia. Al massimo ha una tattica, quella del minor danno possibile a se stesso e del maggior danno possibile a tutti gli altri, ma nulla più di questo.

Dunque, oggettivamente anche se non lo può e non lo vuole gridare ai quattro venti, l'ex comico genovese caldeggia l'unico governo possibile il cosiddetto - e mal detto - governissimo di Pd e Pdl.

La seconda scelta che avrebbe in mano, del tutto passiva è quella di impedire qualsiasi maggioranza e qualsiasi governo per tornare a votare a giugno, convinto di prendere il 40 per cento, conquistando il governo dell'intero Paese, cosa che però lo terrorizza perché non ha alcuna idea da leader al di là delle mille piccole e grandi idee buone per una giunta regionale ma non per un grande Paese: infatti Grillo svicola di fronte alle domande dirette su questioni strategiche e rinvia, rimanda, pospone, per vedere dove porta il fiume in cui nuota ma di cui non guida il corso.

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