Abbiamo finalmente un gran film per la Battaglia di Cannes. Un film italiano, romano, che descrive magnificamente la decadenza italiana e romana e la fa diventare avamposto della decadenza mondiale. Dico La grande bellezza, film splendido in personaggi, visioni e parole.
A vederlo, Paolo Sorrentino sembra un autista faccendiere o un venditore di multiproprietà, e invece è un gran regista e un grande scrittore di film. Sublime Servillo, teneri Verdone e la Ferilli. Ma è davvero Roma quel che si vede nel film o è piuttosto la media tra Napoli e New York, ovvero tra una ex capitale decaduta da cui fuggono i suoi figli esportando ironia (Sorrentino e Servillo in primis) e la capitale globale del Declino Occidentale?
Non so, ma Roma al tramonto emette un'aroma speciale, e la Roma di Sorrentino tramonta anche all'alba. Vive schiacciata, come dopo un sisma, sotto i suoi tesori, le sue statue e le sue macerie spirituali. Soffoca di bellezza, è fracica di storia e di ricordi. Non è la Dolce Vita ma la Vita col Dolcificante. O forse la dolce morte, con trenino finale, come alle feste. Il suo cinismo è gloria andata a male, al posto della fede c'è la voluttà del nulla. Le élite si nutrono di sarcasmo, si crogiolano nel kitsch e si divertono in punto di morte.
Le danna il livore radical, le salva la nostalgia.Il sesso è solo vintage e tappezzeria. Eppure una città in festosa agonia, esausta, che sa di non produrre più nulla, né geni né capolavori, riesce poi a partorire un gran film sul proprio funerale. Misteri de Roma.
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