Roma - Continua a tenere banco nel dibattito politico la sentenza sul «caso Ruby». Tra i vari commenti segnaliamo la posizione di Rocco Buttiglione, che pur smarcandosi nettamente dai partigiani di ambo le fazioni tiene a sottolineare l'incongruenza della sentenza espressa dai giudici milanesi. Il parlamentare dell'Udc parla infatti di una sentenza «pericolosa» perché trasforma in reato un peccato. Cosa che, secondo il deputato pugliese, porta automaticamente la magistratura fuori dal suo terreno.
Perché questo distinguo, onorevole Buttiglione? Il peccato non è un reato?
«Siamo tutti peccatori. E i peccati non si giudicano nelle aule di tribunale. Con questa sentenza viene censurato, e pesantemente, uno stile di vita. Insomma il peccato non deve essere motivo di discriminazione, come può esserlo il reato».
Quindi non ritiene censurabili le feste galanti di Arcore?
«Ovviamente lo sono. Ma questo tipo di censura è un diritto dei cittadini, al limite dei filosofi o dei preti. Sicuramente non è materia per i tribunali».
Si schiera quindi dalla parte di chi ritiene la magistratura faziosa?
«No. Al contrario. Tanto è vero che ripeto sempre in queste occasioni che le sentenze dei tribunali vanno rispettate. Però credo resti in piedi il diritto di commentarle e discuterle».
Restando sul registro del commento, c'è qualcosa di questa sentenza che la preoccupa?
«Più di una. Intanto partirei dalla debolezza delle prove a carico dell'imputato. La loro fragilità offre il destro a chi pensa che si sia voluto esprimere un giudizio morale. E finisco quindi per ripetermi, ma sono i vescovi, gli intellettuali e i privati cittadini che possono esprimere giudizi morali, non i giudici».
Tutto qui?
«C'è poi la questione di quei testimoni deferiti alle autorità giudiziari».
Trentadue persone, per l'esattezza.
«Appunto. Se parlassimo di uno o due testimonianze da verificare, passi. Ma si può davvero pensare che 32 persone possano aver dato una falsa testimonianza? Ammettiamo pure il caso che sia così, proprio per non andare contro il lavoro dei magistrati, però resta forte la sensazione che chiunque dica qualcosa che ai giudici non quadra corra poi il rischio di vedersi incriminato».
Non è la prima volta che si espone parlando di peccato.
«In effetti mi era già capitato di parlare di peccato e reato e di discriminazioni al Parlamento europeo. E in quel caso non fui capito e pagai a caro prezzo la mia opinione».
Correva l'anno 2004 e le sue dichiarazioni su omosessualità e peccato sollevarono un polverone.
«Oggi vorrei non essere frainteso. In verità, vorrei soltanto portare l'attenzione di tutti su un fenomeno ben preciso e da non sottovalutare».
Quale?
«È ovvio che sentenze come quella presa lunedì dai giudici di Milano accenda gli entusiasmi dei giustizialisti come l'indignazione dei garantisti o dei filoberlusconiani. Però sono proprio i moderati che di fronte a un giudizio tanto tranchant sollevano non poche obiezioni. E iniziano a pensare che qualcosa non funziona bene».
L'editoriale di Avvenire ieri parlava di sentenza «sferzante» se si «considerano crimini repellenti sanzionati con meno severità proprio in questi giorni». È d'accordo?
«Sono piene le cronache di casi giudiziari in cui chi ammazza esce dal carcere in meno di sette anni. Quindi la sproporzione della pena è evidente».
Però Ferrara sul Foglio dice che in un processo in cui accusa e difesa sono messi sullo stesso piano, tutto ciò non sarebbe possibile.
«Sicuramente un'eventuale riforma della giustizia deve prevedere un'equiparazione reale di accusa e difesa. Però ora è la speculazione politica che bisogna evitare. Sono convinto che chi non fischia i falli commessi da chi appoggia la propria parte politica non dà un contributo alla pacificazione».
E
«Mi auguro che Berlusconi abbia la pazienza di non buttarla in politica. D'altronde siamo al primo grado di giudizio. È probabile che nei prossimi ci sarà una valutazione diversa».
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