I ricordi eterni dei delfini: l'amicizia dura per sempre

L'uomo non ha il primato della memoria. Quella "sociale" è più sviluppata nei cetacei: si riconoscono tra loro anche dopo 20 anni

I ricordi eterni dei delfini: l'amicizia dura per sempre

Qualche anno fa, durante una traversata in traghetto, mi accorgevo di una grande agitazione sul ponte. Un gruppetto di delfini, si stava avvicinando al legno e stavo disperatamente cercando di estrarre la macchina fotografica e il teleobiettivo dal marsupio, quando alcuni amici, una ventina di metri a prora, mi faceva segno di guardare il mare di fronte a loro. Un altro gruppo di questi cetacei aveva fatto cambiare improvvisamente direzione al primo e, in pochi secondi, gli uni si mischiavano saltando e piroettando, mentre la gente a bordo applaudiva e urlava di gioia. «Sembrano amici che si sono ritrovati dopo tanto tempo», disse un uomo accanto a me. «Le solite esagerazioni» pensai, guardandolo in modo più che dubbioso. Invece probabilmente aveva ragione.
Un recente studio, portato avanti su una specie comune di delfini, i tursiopi, ha dimostrato che questi cetacei hanno una straordinaria «memoria sociale», visto che sono in grado di riconoscere un loro simile col quale hanno vissuto, anche per brevi periodi, ben 20 e più anni addietro. Si tratta della memoria sociale più sviluppata tra tutte le specie di mammiferi, uomo compreso, perché non si basa sulle caratteristiche anatomiche ma su una sorta di firma musicale. I delfini emettono un particolare fischio che è caratteristico per ognuno di loro e la ricerca condotta da Jason Bruck, dell'università di Chicago, ha messo in luce che due delfini, vissuti per poco tempo in acquari diversi vent'anni prima, una volta ricongiunti in un nuovo acquario si riconoscevano perfettamente a causa dell'unicità di quelle «impronte digitali» che sono i loro fischi. Molto meglio delle sembianze dei nostri volti che il tempo inesorabilmente cambia fino talvolta a renderci irriconoscibili rispetto a quando eravamo più giovani. Dall'altra parte poi ci sono i fisionomisti e quelli che non sanno riconoscere il volto di chi ha pranzato ieri con loro se non dalla voce (per quel che può contare appartengo a questa categoria), rimediando figuracce pietose.

Questo studio, sottolinea Bruck, è stato possibile solo ricercando sui delfini in cattività esattamente negli acquari di Chicago e in quello di Quest, nelle Bermuda. In mare aperto, con soggetti in piena libertà uno studio simile non sarebbe mai stato possibile e queste conoscenze, afferma lo scienziato, sono utilissime per conoscere maggiormente queste specie e salvaguardare quelle selvatiche. Altra benzina per le infinite polemiche sull'utilità o la crudeltà dei delfinari.

«Questa ricerca -afferma Bruck- ci mostra come un mammifero possa operare a livello cognitivo in modo molto ravvicinato all'uomo e ci mostra che i delfini hanno la memoria "passata" più lunga rispetto a qualunque altro mammifero conosciuto, eccetto l'uomo e le scimmie antropomorfe».

Per quanto riguarda poi quella che chiamiamo comunemente "memoria" e che fa riferimento alla conoscenza e al ricordo di luoghi, suoni, colori, paesaggi e tracce, potremmo rimanere molto stupiti ne fare un test adeguato e nell'apprendere che essa è molto più sviluppata in animali insospettabili come certi uccelli migratori, come il leone marino, lo scimpanzé o l'elefante.

Quanto poi alla memoria episodica, quella deputata a ricordare fatti passati, si pensava fosse appannaggio dell'uomo.

Ebbene, recenti ricerche hanno dimostrato inequivocabilmente che gorilla e scimpanzé ne sono dotati come pare non manchi anche agli elefanti. Un vecchio adagio indiano dice che «l'elefante non dimentica». Forse è davvero così.

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