Politica

Le dieci piaghe della giustizia che l'Italia ora deve debellare

Dalla lunghezza dei processi ai privilegi dei magistrati, il Paese ha bisogno di una riforma radicale per rendere il sistema finalmente equo ed efficiente

La giustizia in Italia non funziona. È un dato di fatto, inutile girarci attorno. Inutile nascondersi dietro i processi di Berlusconi: è solo una scusa per non fare una riforma fondamentale per il nostro Paese e che tutto il mondo ci chiede. Il programma iniziale di questa maggioranza prevedeva una riforma delle istituzioni che rafforzasse il potere politico, per poi procedere, con una rinnovata autorevolezza, alla riforma della giustizia. La strada ce l'ha indicata il capo dello Stato che, con le dichiarazioni a seguito della sentenza della Cassazione su Silvio Berlusconi, ha evocato il lavoro dei saggi da lui incaricati nell'aprile scorso per studiare i termini di una riforma della giustizia. Ma si può fare ancora di più: parallelamente alla riforma della giustizia, promuovere la raccolta firme per i referendum radicali, almeno un milione entro la fine di settembre 2013. La giustizia italiana va riformata da cima a fondo. L'Italia è il Paese con maggior necessità di interventi migliorativi nel settore della giustizia.

1. Il numero di casi pendenti

Secondo il rapporto della Commissione, l'Italia è tra i Paesi con più alto numero di casi penali non risolti (5,4 milioni di casi irrisolti: 9 ogni 100 abitanti), di cui se ne prescrivono mediamente 356 al giorno. L'Italia è addirittura al primo posto se si osserva il numero di casi non risolti in ambito civile e societario (4,2 milioni di casi irrisolti: 7 ogni 100 abitanti). Conclusioni di quella stessa Commissione europea che se ci impone rigore di bilancio è rispettata e riverita, mentre se ci chiede un sistema giudiziario più efficiente e di maggior qualità rimane del tutto inascoltata.

2. Processi troppo lunghi

Secondo il rapporto Judicial Performance and its Determinants: A Cross-country Perspective, pubblicato a giugno 2013 dall'Ocse, l'Italia è il Paese in cui i processi sono più lunghi. La durata media dei 3 gradi di giudizio civile nei paesi dell'area Ocse è di 788 giorni: da 395 giorni in Svizzera a ben 8 anni (2.920 giorni) in Italia. Quanto alla durata media del solo primo grado del processo civile, il Rapporto 2012 del Cepej non lascia spazio a dubbi: l'Italia ha il primato con 492 giorni contro i 289 della Spagna, i 279 della Francia e i 184 della Germania. E tempi così dilatati comportano spese elevate per lo Stato. Secondo Confindustria «l'abbattimento del 10% dei tempi della giustizia civile potrebbe determinare un incremento dello 0,8% del Pil».

3. Un costo esagerato

Quanto al costo dei processi, calcolato dall'Ocse al netto delle spese legali sostenute dai cittadini e in percentuale del valore della causa (ipotizzata pari al 200% del reddito pro-capite), l'Italia si colloca al terzo posto, la Francia all'undicesimo, la Germania oltre il sedicesimo. Ne deriva che, combinando le 2 variabili, lunghezza e costo del processo, l'Italia è, insieme alla Repubblica slovacca e al Giappone, la peggiore in termini di efficienza del sistema giudiziario.

4. Un budget troppo alto

Al contrario di quanto dichiarato da taluni magistrati che addebitano ritardi e inefficienze al basso budget statale per la giustizia, dal Rapporto 2012 del Cepej emerge che la macchina della giustizia costa agli italiani, per tribunali, avvocati d'ufficio e pubblici ministeri, 73 euro a persona all'anno, contro una media europea di 57,4 euro. In Italia, infatti, ci sono 2,3 tribunali ogni 100.000 abitanti (in Francia solo 1) e ogni magistrato italiano dispone di 3,7 addetti non togati (cancellieri e dattilografi), contro i 2,7 della Germania. Non male!

5. Salari e stipendi

Come in tutti i bilanci societari, anche per lo Stato, tra i costi, alla macro-classe «magistratura» troviamo una voce «salari e stipendi». Commentando i dati del Rapporto 2012 del Cepej, Stefano Livadiotti ci fa notare che i giudici italiani guadagnano più di tutti i loro colleghi europei. E all'apice della carriera, cui, come vedremo, giungono rapidamente, percepiscono uno stipendio pari a 7,3 volte quello medio dei lavoratori dipendenti italiani. Privilegiati? No, per carità!

6. Una scarsa «accountability»

Secondo la professoressa Daniela Piana, che ha curato un intero capitolo dedicato alla magistratura nell'ambito di un saggio pubblicato a maggio 2013 dalla casa editrice Il Mulino: La democrazia in Italia, i primati negativi dell'Italia sul funzionamento della giustizia non sono dovuti al sistema politico, bensì «all'atteggiamento dei giudici, caratterizzato da un mix di impunità, mediazione estrema e politicizzazione senza simili nel mondo occidentale». Essendo le risorse allocate nel settore in linea con gli altri Stati europei, ne consegue un problema di efficienza: «Il sistema di governo della magistratura non alloca incentivi e sanzioni, vincoli ed opportunità». Ne deriva che una scarsa «accountability» del personale rispetto al proprio operato genera comportamenti opportunistici.

7. Meritocrazia zero

I dati ce li fornisce ancora una volta lo studio sull'Italia del Cepej: l'attuale normativa prevede che, dopo 27 anni di servizio, tutti i magistrati raggiungano, indipendentemente dagli incarichi svolti e dai ruoli ricoperti, la massima qualifica di carriera possibile. Tanto che nel 2009 il 24,5% dei magistrati ordinari in servizio era, appunto, all'apice dell'inquadramento.

8. Avanzamenti di carriera

Ai fini degli avanzamenti di carriera, l'organo competente è il Csm. Tra il 1° luglio 2008 e il 31 luglio 2012, su circa 9.000 magistrati ordinari in servizio, sono state effettuate solo 2.409 valutazioni, di cui negative... 3! Quanto alla responsabilità civile, alias il rischio di sanzioni disciplinari, per gli esposti presentati contro i magistrati è previsto un filtro preventivo della Procura generale presso la Corte di cassazione. Tra il 2009 e il 2011, sempre sui circa 9.000 magistrati ordinari in servizio, alla Procura generale sono pervenute 5.921 notizie di illecito, di cui 5.498 (il 92,9%) sono state archiviate. Ciò vuol dire che solo il 7,1% delle denunce è arrivato davanti alla sezione disciplinare del Csm. Che strano...

9. E la responsabilità civile?

Quanto alla responsabilità civile dei magistrati, in teoria, ci sarebbe la Legge n. 117/1988, voluta dall'allora ministro della Giustizia, Giuliano Vassalli, che stabilisce un limite di 2 anni per l'esercizio dell'azione; prevede un filtro di ammissibilità per i ricorsi e attribuisce allo Stato la possibilità di rivalersi, per i danni liquidati a risarcimento di un errore giudiziario, sullo stipendio del magistrato colpevole (con il tetto massimo di 1/3).
Stefano Livadiotti, autore del libro Magistrati l'ultracasta, ci fa notare come, in ossequio a tale Legge, dal 1988 al 2011 in Italia siano stati presentati solo 400 ricorsi (in 23 anni!!!) per risarcimento danni da responsabilità dei giudici. Di questi, il 63% sono stati dichiarati inammissibili; il 12% sono in attesa di pronuncia sull'ammissibilità; il 16,5% sono in fase di impugnazione di decisione di inammissibilità e solo l'8,5% sono state dichiarate ammissibili. Di questo 8,5%, vale a dire di 34 ricorsi, 16 sono ancora pendenti e 18 sono stati giudicati: lo Stato ha perso solo 4 volte, pari all'l,1% dei già pochissimi ricorsi presentati.

10. Da zero a uno: meno di 0,5

Dulcis in fundo. Il World Justice Project è un'organizzazione non profit, indipendente, che ogni anno, al pari della Commissione europea, stila un indice, denominato «Rule of Law Index», di valutazione dell'aderenza del sistema giudiziario degli Stati alle regole del diritto. In particolare, le valutazioni sono svolte sulla base di 4 parametri: l'affidabilità, la credibilità e l'integrità morale dei giudici; la chiarezza e la capacità delle Leggi di garantire i diritti fondamentali, tra cui la sicurezza di persone e cose; il grado di accessibilità, efficienza ed equità del processo; la competenza e l'indipendenza dei magistrati e l'adeguatezza delle risorse messe a loro disposizione. I punteggi per gli Stati sono compresi in un range che va da zero a uno. Per nessuno dei 4 indicatori l'Italia supera lo 0,5, eccezion fatta per l'adeguatezza delle risorse...

Se la qualità, l'indipendenza e l'efficienza della giustizia giocano un ruolo fondamentale nel riportare fiducia negli Stati e ritornare a crescere, come ci ha detto il commissario Reding, rimbocchiamoci le maniche: lavoriamo per migliorarla. Con la raccolta delle firme, ma anche, in parallelo, dando veste normativa alle proposte di riforma della giustizia avanzate dalla commissione dei saggi voluta, prima della formazione del governo Letta, dal presidente Napolitano.

Dipende solo da noi.

Commenti