Pompei si salva. solo se fa crollare la burocrazia

Lo sfacelo delle rovine è più colpa dei tecnici che dei politici. Moltiplicare gli interventi è vitale. Ma troppi remano contro

Pompei si salva. solo se fa crollare la burocrazia

Qualcuno si potrebbe chiedere, e non solo da ora, come mai nonostante le buone intenzioni, i finanziamenti statali, europei e privati accreditati negli anni, le case di Pompei continuino a crollare. Intanto, nella catastrofe, è positivo che non si attribuiscano responsabilità al ceto politico, chiedendo le dimissioni del ministro. Lo si è fatto solo col povero Sandro Bondi. Dopo di lui si sono avvicendati Galan, Ornaghi, Bray e ora Franceschini, ma nessuno ha chiesto le loro teste. Tutti i ministri, infatti, a partire da Bondi, e anche prima, hanno garantito i finanziamenti e sostanzialmente mantenuto le promesse. Eppure i crolli sono continuati e lo stesso Franceschini chiese in Parlamento le dimissioni di Bondi, non pensando che si sarebbe ritrovato nella stessa situazione. In realtà la politica c'entra ben poco. Oggi è accertato che le responsabilità sono intermedie, non dirette. Il ministro aveva già garantito e accreditato 28 milioni di euro prima dei primi crolli. E, in qualunque parte d'Italia, nessun ministro poteva essere chiamato in causa per un cattivo restauro o per un qualunque problema tecnico. Come si rivendica l'autonomia dei magistrati, così va rivendicata quella dei sovrintendenti, che non sono organo politico ma espressione della conoscenza. La politica può tentare di inventare nuovi indirizzi. Oggi la struttura tecnica si è rinforzata con un generale dei Carabinieri, un valoroso sovrintendente dei Beni Artistici, un archeologo: tutti stimati dal ministro. Perché sono fermi? Per la burocrazia, per la paura, per la debolezza. Nessuno è responsabile, ma certamente lo è più il tecnico del politico. Quest'ultimo deve essere ben consigliato, in modo tale che possa intervenire. Pompei non è solo a rischio di infiltrazioni mafiose (con tanta materia d'intervento) ma per inerzia del fare. Non è pensabile di risolvere la questione con appalti da milioni di euro, rallentati da gare e verifiche antimafia. Occorre moltiplicare i cantieri, per i restauri e le manutenzioni, in cento, mille segmenti, che corrispondano ad alcune unità abitative. In una città viva, quale Pompei ancora è, ognuno ha cura della propria casa e non attende che sia lo Stato a intervenire. Lotti da quaranta-cinquantamila euro consentirebbero a molte imprese, seguendo principi semplici e rigorosi, di sistemare, verificare, conservare come ognuno fa con la propria casa, dai pavimenti al tetto. Pompei crolla perché è una città abbandonata: mancano le operazioni quotidiane di buon senso, le cure della casalinga, le pulizie regolari. Sarebbe sufficiente che un drappello di restauratori e custodi avesse la responsabilità di curare poche unità abitative, facendo pulizie, eliminando le erbacce, sistemando mosaici e pavimenti. Invece i custodi si muovono davanti ad edifici chiusi, come se una donna delle pulizie restasse in strada e non pulisse in casa. I restauratori non esistono, non c'è concorso che li preveda. Un generale dei Carabinieri in una città, e un generale oggi governa Pompei, agisce attraverso marescialli, brigadieri, appuntati, semplici carabinieri.

La sua autorità si articola e si esercita per rivoli. A Pompei si pensa che gli interventi vengano dal cielo, da un'azione di sistema. Occorre invece agire capillarmente, pazientemente, costantemente, altrimenti cambieremo i ministri ma le case continueranno a crollare.

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