RomaUn solo articolo, nove commi. Titolo neutro, buono per tutte le stagioni: «Misure per garantire la trasparenza e il controllo dei bilanci dei partiti e dei movimenti politici». Ma questa non è una stagione qualunque.
Il succo sta nella relazione della proposta di legge che già oggi potrebbe essere assegnata durgenza in sede legislativa alla commissione Affari costituzionali della Camera, primi firmatari Alfano, Bersani, Casini, lAbc di maggioranza. «Cancellare del tutto i finanziamenti pubblici destinati ai partiti - già drasticamente tagliati dalle manovre finanziarie del 2010-2011 - sarebbe un errore drammatico, che punirebbe tutti allo stesso modo (compresi coloro che in questi anni hanno rispettato scrupolosamente le regole) e metterebbe la politica completamente nelle mani delle lobbies, centri di potere e di interesse particolare». Piuttosto, scrivono, «il punto è un altro: trasformare il finanziamento pubblico nella leva per riformare i partiti». Una riforma che preveda, in linea con quanto detto di recente dal presidente Napolitano, «regole di democraticità e trasparenza nella vita dei partiti», nonché «meccanismi corretti e misurati di finanziamento delle loro attività».
Campa cavallo. In soldoni, perché di questo si tratta, la nuova disciplina dei sistemi di controllo dei bilanci e relative sanzioni proposta lascia però intatta lentità del finanziamento pubblico e non fa alcuna menzione della rata di 100 milioni che i partiti attendono per luglio, e che la settimana scorsa Bersani aveva timidamente proposto di far slittare a settembre. Come se, passata lestate, il nocciolo della questione che esplode sotto i Palazzi della politica, potesse essere superato. Invece non ci sono più le fruttifere stagioni di una volta, e i buoni propositi dellennesima riforma annunciata (attuazione in extremis dellart. 49 della Costituzione - «strada maestra che trasformi i partiti in associazioni riconosciute, dotate di personalità giuridica, con precisi requisiti statutari») arriva fuori tempo massimo: quando le vacche sono uscite dalla stalla, e lescalation dellantipolitica fuori controllo.
Occasione ghiotta per demagoghi. Antonio Di Pietro non se le lascia certo scappare: «In un momento così drammatico per il nostro Paese - dice - dove il governo ha colpito le fasce sociali più deboli, la politica deve dare il buon esempio cominciando a tagliare gli sprechi e le vagonate di soldi pubblici incassati. La politica non può ignorare il Paese. Il provvedimento allacqua di rose proposto da Alfano, Bersani e Casini è una presa in giro per i cittadini e per la dignità delle istituzioni. Ci batteremo in Parlamento per restituire agli italiani il maltolto. Se si continua così, i cittadini arriveranno con i forconi davanti Montecitorio». A ruota segue Italo Bocchino: «Se cancellare i finanziamenti ai partiti sarebbe un errore drammatico, non ridurli almeno del 50% sarebbe un atto immorale». Il suo compagno eurodeputato di Fli, Salvatore Tatarella, in una lettera al premier Monti invoca un decreto del governo che blocchi la tranche di luglio dei rimborsi: «Sarebbe uno schiaffo agli italiani», scrive. Più o meno lo stesso chiedono al presidente Fini i Socialisti Uniti di Stefania Craxi, e la pidina à la page Debora Serracchiani che propone ai partiti il beau geste della «rinuncia» preventiva. «Sconcertato da Abc» si dichiara anche Giorgio Stracquadanio (Pdl).
Nel frattempo fioccano proposte dogni tipo per indurre i partiti a togliere le dita dalla marmellata. Dal 94 a oggi, una delicatessen pari a 2,3 miliardi di euro di rimborsi elettorali «in barba al referendum che li aboliva», come denunciano i Radicali.
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