Ai singoli cittadini i benefici del nucleare

Se il populismo, che alligna tanto a sinistra quanto a destra, non si è ancora scatenato contro il nucleare è solo perché viene percepito come una soluzione ancora lontana nel tempo

Ai singoli cittadini i benefici del nucleare

Il prossimo 16 giugno l'Italia entrerà ufficialmente a far parte dell'Alleanza Europea per il Nucleare. L'annuncio, arrivato in queste ore dal Ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, merita attenzione e, soprattutto, un plauso: per aver riaperto un dossier rimasto sepolto per quasi quarant'anni, con conseguenze pesanti per la nostra economia e per l'autonomia energetica del Paese.

In un Paese come il nostro, dove la politica spesso campa alla giornata, cavalcando la polemica del momento, assecondando le paure più in voga e cercando sempre la via più facile e rapida, avviare una riforma strutturale e complessa come quella del sistema energetico è tutt'altro che scontato.

Soprattutto perché, quando tra dieci, venti o trent'anni aziende e famiglie godranno dei benefici di queste scelte, il Governo che le ha decise, perseguite e magari difese con fatica anche a rischio del proprio consenso nel breve termine non ci sarà più per raccogliere gli applausi.

E spesso neppure la cronaca recente basta a stimolare un simile slancio. L'Italia, dall'inizio della guerra in Ucraina, ha attraversato almeno due gravi crisi energetiche, con bollette tanto alte da mettere in ginocchio la capacità di spesa delle famiglie e la competitività delle imprese. Eppure, superata la fase più critica, abbiamo visto le stesse persone che protestavano contro il caro energia scendere in piazza per opporsi a qualsiasi infrastruttura utile a prevenirlo: fosse un termovalorizzatore in grado di produrre corrente elettrica bruciando rifiuti, un rigassificatore o il terminale di un gasdotto.

Nessuno si faccia illusioni: se il populismo, che alligna tanto a sinistra quanto a destra, non si è ancora scatenato contro il nucleare è solo perché viene percepito come una soluzione ancora lontana nel tempo, dunque non immediatamente spendibile sul piano del consenso. Basti osservare il dibattito sul deposito nazionale delle scorie nucleari: un'infrastruttura necessaria, ma rifiutata ovunque, perché riguarda l'oggi e non il domani.

Nonostante nessuno possa immaginare un percorso semplice, il Governo sembra intenzionato ad affrontarlo con una visione di sistema, troppo spesso assente nel nostro Paese. La decisione di aderire all'Alleanza Europea per il Nucleare, la nascita poche settimane fa della nuova società Nuclitalia, incaricata di costruire il percorso industriale verso una nuova energia, e la costituzione della Agenzia per la Sicurezza Nucleare, che Genova si è candidata ad ospitare, definiscono i contorni di un processo non improvvisato, ma strutturato.

Un cammino che, se portato a termine, potrebbe garantire al Governo Meloni un posto nella storia del Paese, risolvendo uno dei problemi più seri del passato e destinato a pesare anche sul futuro.

Dall'energia, infatti, dipendono benessere, crescita e sicurezza nazionale. In un mondo tornato competitivo e aggressivo dal punto di vista economico e geopolitico con nazioni e continenti che si contendono mercati e sfere d'influenza, la nostra vulnerabilità è evidente. Basti dire che oltre il 50% della nostra energia arriva oggi da un gasdotto proveniente dall'Algeria, mentre un'altra quota significativa arriva dal Caucaso: aree instabili e a rischio.

Cosa accadrebbe se quel gas non dovesse più arrivare? Quale sarebbe il prezzo economico e sociale per l'Italia?

A tutto ciò si aggiunge un altro dato: i consumi elettrici sono destinati a raddoppiare nei prossimi quindici anni. Senza nuove fonti autonome, la nostra dipendenza dall'estero aumenterebbe ancora. E oggi solo il nucleare può garantirci quella capacità di produzione interna, stabile e programmabile, di cui abbiamo estremo bisogno.

Per questo, imboccato un cammino lungimirante e, se vogliamo, coraggioso e che non ha reali alternative sarebbe auspicabile che, per una volta, la politica non cercasse di monetizzarlo in termini di consenso immediato. È troppo facile, e troppo pericoloso, utilizzare un tema strategico per il futuro dei nostri figli e nipoti come merce da scambio tattico, sulla base di polemiche spicciole o di localismi esasperati.

Un solo consiglio all'Esecutivo: rivedere la disciplina delle cosiddette «opere compensative», cioè quegli investimenti che premiano i territori disposti ad ospitare infrastrutture strategiche per il Paese.

Oggi questi fondi finiscono alle istituzioni locali per la realizzazione di opere pubbliche: una nuova strada, un parco, un campo da calcio. Spesso arrivano tardi. A volte restano incompiute.

Perché non fare un salto di qualità, e destinare quegli stessi fondi direttamente ai cittadini? Chi accetta di ospitare una centrale nucleare o un rigassificatore, o un termovalorizzatore non paghi la bolletta elettrica per un certo numero di anni. Né il riscaldamento.

Sarebbe un forte incentivo contro la sindrome Nimby («not in my backyard») che

paralizza qualsiasi opera pubblica. Perché, come insegnava Adam Smith, è bene fare leva sulla generosità degli individui, ma è più saggio puntare sull'interesse che ciascuno ha per ciò che riguarda direttamente la propria vita.

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