Roma - Alfano frena: stop ai gruppi. Per ora. Ma gli scissionisti sono già scissi sulla linea da tenere. Per ora regge quella di Angelino. Il capo. I gruppi autonomi restano la pistola carica messa sul tavolo davanti a Silvio. Ieri, poi, la tragedia di Lampedusa ha congelato tutto. Ma i dissidenti si muovono, si vedono, si telefonano, si consultano e - ovvio - si pungono a vicenda. Nella notte di mercoledì, dopo il grande strappo, la riunione a due passi da Montecitorio. «Siamo più di 70», esulta un baldanzoso Roberto Formigoni. Al summit parlano Angelino Alfano, Maurizio Lupi, Gaetano Quagliariello, Fabrizio Cicchitto, Salvo Torrisi, Giuseppe Scopelliti e Antonio D'Alì. Il quale si contraddistingue per un intervento appassionato a difesa di Berlusconi. «Attenzione a non essere e neppure apparire antiberlusconiani». Lui, ex sottosegretario agli Interni, è stato appena assolto dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Sente ancora addosso le unghie della Procura di Palermo e il balsamo del Cav: «È stato il primo a chiamarmi e congratularsi con me».
Angelino dà la linea e predica calma. Gli obiettivi principali, che sciorina davanti ai suoi, sono tre. Primo: garantire la durata di questo governo. Secondo: dare ascolto al «nostro mondo» ossia piccole medie imprese, sindacati, industriali, commercianti. Terzo: tutelare Berlusconi e la storia di Berlusconi che «è la nostra storia». Frena sui gruppi. E lo dirà pure a Berlusconi in un faccia a faccia ieri mattina a Palazzo Grazioli. Fa la colomba. Si maligna che segua un disegno che ha la sua logica. Spietata. Se riduce lo strappo a uno strappino ma resta quatto nel Pdl, saranno le procure ad abbattere definitivamente Berlusconi. E lui non dovrà commettere alcun «parricidio»; non dovrà apparire mai come «traditore». Stare calmi, insomma. Certo, c'è da convincere Berlusconi che la linea «governista» è la migliore; e soprattutto c'è da pretendere che le leve di comando del partito passino in mano sua da quelle di Verdini e Santanchè. L'Opa su Forza Italia. Altrimenti...
Sull'«altrimenti», tra gli scissionisti, ci sono sensibilità diverse. Cicchitto ha la bava alla bocca contro Verdini, Santanchè e soprattutto il Giornale. Crede che la strada ormai sia segnata, al pari di Formigoni. L'ex governatore della Lombardia è quello forse più ringalluzzito dall'operazione: «I gruppi? È nella natura delle cose», confidava due giorni fa al telefonino a un non precisato interlocutore. Anche a lui, per ora, viene imposta la mordacchia. Nella mattinata di ieri, l'obbligo di frenare: «La decisione è sospesa perché abbiamo trovato un Berlusconi dialogante», giura. Letteralmente scatenato, invece, Carlo Giovanardi: «Il gruppo al Senato lo facciamo perché Forza Italia non verrà accolta nel Ppe. Lo dice pure la Merkel. Sarà un partito con delle caratteristiche incompatibili con i Popolari europei». Poi, giù a criticare le ultime mosse di Berlusconi: «Le dimissioni dei parlamentari? Una stupidaggine»; ad attaccare il Giornale: «Sallusti? Sta distruggendo Berlusconi»; a smarcarsi dal Cav: «Marina? Io sono in una Repubblica, non in una monarchia».
Anche Quagliariello pensa che ormai sia difficile ricucire ma va cauto: «Oggi nessuno parli di beghe interne», dice pensando alla tragedia di Lampedusa. Ma lo descrivono come uno dei più attivi nel contattare gli «altri»: quelli «in sonno», quelli che ancora non si sono schierati e che sono pronti, italianamente, a correre in aiuto al vincitore. Quanti sono? «Tanti, tantissimi», giurano in un Transatlantico dove di pidiellini se ne vedono ben pochi. Aspettano di vedere dove conviene stare e rivendicano posti, garanzie di potere, soluzioni di vecchie beghe interne e territoriali: «Vi seguo ma solo se non date spazio al mio nemico interno in Regione» è il refrain.
Potere e riflettori. E proprio per la visibilità cominciano a sprizzare i primi malumori. Sul banco degli imputati Formigoni: «Con tutti i guai che c'ha poi...», dice uno; e su Giovanardi: «Se ci affidiamo a lui, dove andiamo?».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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