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Alfano ha vinto il primo round Ma ora dovrà dialogare col Pd

Alfano ha vinto il primo round Ma ora dovrà dialogare col Pd

RomaBattere il ferro finché è caldo, massimizzare il disagio di un Pd in mezzo al guado e far passare l’immagine di un Pdl compatto e responsabile nel sostegno a Monti e alla riforma del mercato del lavoro che, osservava ieri Silvio Berlusconi nei suoi colloqui privati, «faceva parte del nostro programma di governo». Il tutto nonostante sia quasi scontato che qualche concessione a Pier Luigi Bersani e al sindacato si dovrà fare quando il provvedimento arriverà in Parlamento. È questa la ragione di un Angelino Alfano che di prima mattina affonda colpi definendo «assolutamente inaccettabile» che l’esecutivo «rischi di rimanere imprigionato nei veti della Fiom e della Camusso sull’articolo 18». E ancora: «Quello sul lavoro è un compromesso. Se Bersani desidera fare come vuole deve prima vincere le elezioni».
E dal Pdl è tutto un coro a sostegno del governo, in nome di una riforma «non più rinviabile» ma anche con la consapevolezza che la questione agita parecchio le acque in casa Pd. Ecco la ragione dei vari altolà, tra cui quello di Fabrizio Cicchitto secondo il quale è in atto «un forte tentativo di snaturare la nuova versione dell’articolo 18 elaborata dall’esecutivo Monti». «Ci auguriamo - aggiunge il capogruppo del Pdl alla Camera - che il governo tenga ferme le scelte fatte». Mani avanti, insomma, in vista dell’inevitabile braccio di ferro. La trattativa, infatti, è ancora in pieno svolgimento, tanto che il ministro Elsa Fornero ha fatto sapere che - a differenza di quanto annunciato - il testo definitivo non sarà varato oggi. Ed è sempre in quest’ottica che da via dell’Umiltà chiedono con forza che sia usato lo strumento del decreto legge che, di fatto, blinderebbe il testo dando al Pd pochissimi margini di manovra: o lo si vota oppure si mette di fatto in crisi il governo. Una strada che si potrebbe prendere solo dopo una preventiva trattativa tra i partiti e le parti sociali in modo da sminare il testo prima che venga messo nero su bianco nel decreto. Ma che permetterebbe al Pdl di poter cantare vittoria e al Pd di piantare quella bandierina che consentirebbe di dire al suo elettorato di non aver ceduto su tutto.
Il fronte lavoro e articolo 18, peraltro, a via dell’Umiltà è piuttosto caldo anche per altre ragioni. Quell’area del partito più insofferente verso il governo spera infatti che su un tema tanto delicato possano saltare gli equilibri del governo. «C’è ancora chi s’illude - spiega un ex ministro - che l’esecutivo possa cadere e si torni alle urne a breve. Un cosa che invece non accadrà». Già, perché per l’accordo sull’articolo 18 non passa solo la sopravvivenza del governo ma anche il percorso di risanamento iniziato da Monti che - nel caso di una crisi - ne uscirebbe irrimediabilmente compromesso.
Ecco perché è praticamente scontato che alla fine una quadra si troverà. Nonostante gli appelli arrivati ieri dal Pdl, da Mariastella Gelmini convinta che non sia «più il tempo di mediazioni al ribasso», ai tanti che puntano il dito contro Fiom e Cgil. «Speriamo - dice il vicecapogruppo del Senato Gaetano Quagliariello - che il Pd riesca a emanciparsi da un rapporto di subalternità alla Cgil che una forza riformista non può permettersi».
Intanto, a margine dello scontro sull’articolo 18, si muove qualcosa in vista del futuro riassetto dei partiti. Se da una parte il Cavaliere non vuole rompere definitivamente con la Lega (altra ragione per cui il Pdl punterà i piedi fino a un certo punto sulla riforma del lavoro), dall’altra sta cercando di capire se è possibile o no un riavvicinamento con Pier Ferdinando Casini. Berlusconi, infatti, non esclude l’idea di un contenitore moderato sotto le insegne del Ppe («e se qualcuno nel partito non lo digerisce non sarò io a trattenerlo, anzi mi risolve solo un problema per le liste elettorali», confidava qualche giorno fa il Cavaliere) anche se ancora non ha capito cosa davvero vuole il leader dell’Udc.

«La risposta - spiega un ex ministro che Casini lo conosce bene - è facile: o Palazzo Chigi o il Quirinale».

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