Patti sconfessati, assemblee roventi, entrate a gamba tesa della direzione, sindacalisti che si dimettono, numeri che cambiano, sfoghi, redazione spaccata e un vero e proprio scontro generazionale. Sono giorni poco democratici nel quotidiano più dem che c'è, vale a dire Repubblica, alle prese con una difficile vertenza interna che si inquadra nello stato di crisi del quotidiano di largo Fochetti, nei conti che non tornano e nella conseguente necessità di sfoltire un corpo redazionale ormai pletorico, che conta quasi 450 unità. Un esercito diviso in due veri battaglioni l'un contro l'altro armato: quello degli assunti negli ultimi quindici anni, con stipendi lauti e prebende varie; e quello degli «juniores», che magari firmano in prima pagina ma hanno un netto in busta da metalmeccanico o poco più.
L'ultima battaglia di una guerra che va avanti da mesi si è combattuta martedì, secondo giorno di una assemblea iniziata lunedì e talmente incandescente da richiedere i tempi supplementari. Sul tavolo l'intesa sottoscritta a dicembre che prevede il prepensionamento di 58 giornalisti attorno ai sessant'anni e con stipendi pesanti. Una soluzione scelta con un referendum interno in cui era prevalsa la linea dei giovani rispetto a quella più cara agli anziani, poco propensi a farsi da parte, e soprattutto alla direzione e all'azienda: la cassa integrazione a rotazione di tutta la redazione. Quest'ultima garantirebbe alla proprietà un maggiore risparmio immediato (laddove i prepensionamenti, conditi da scivoli e buonuscite varie, avrebbero dato i loro frutti sui malmessi conti di Repubblica dopo molto tempo) e avrebbe salvato i big, alcuni dei quali, mormora radiocorridoio, in forza al cerchio magico del direttore Ezio Mauro.
Insomma, l'assemblea si apre con l'obiettivo di ratificare quanto già firmato, ma il clima è cambiato. Tra i giornalisti prima favorevoli ai 58 accantonamenti c'è più d'uno che mormora contro il patto dei prepensionamenti. Vengono presentate due mozioni: una si appiglia ad alcuni cavilli per rimettere in discussione quanto già deciso e invita il Cdr (il Comitato di redazione) a ritornare dall'azienda per ridiscutere tutto. A quel punto è l'inferno: la mozione viene votata per alzata di mano in un clima che i presenti descrivono con parole che vanno da «pressing» a «intimidazione».
A mettere il sale sulla coda di molti giornalisti la presenza - irrituale in questo genere di assemblee - di componenti della direzione (come i vicedirettori Massimo Giannini e Dario Cresto-Dina) e dell'ufficio centrale. Qualcuno racconta addirittura di fotografie scattate a chi vota contro la linea direttoriale. In questo clima plumbeo l'assemblea finisce per approvare con 170 voti a favore e 130 contrari la mozione, stravolgendo quanto era stato deciso (con voto segreto) un mese prima. Il Cdr si sente sfiduciato e si dimette. La trattativa piomba nel caos. Lo spettro della cassa integrazione di solidarietà si allunga sui giornalisti.
Il direttore, sotto tiro perché sospettato di trattare alle spalle della redazione il suo contratto, avrebbe mandato a quel paese i suoi uomini, minacciando di mollare baracca e burattini.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.