Ecco la verità su Napolitano: il pasticcio è nato in Procura

I pm fanno a gara per individuare i possibili colpevoli dello scontro col Colle. Citano Falcone ma dimenticano che sono proprio loro ad aver intercettato Napolitano

C'è una sorta di gara tra le voci in toga che stanno intervenendo dopo la pubblicazione su Panorama della presunta ricostruzione delle telefonate tra l'ex ministro dell'Interno, Nicola Mancino e il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Una gara ad andare oltre, a individuare possibili colpevoli. E così il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, via talk show, fa sapere che secondo lui il ricattatore è il settimanale Panorama, o almeno le sue fonti; il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, via festa dell'Unità di Reggio Emilia, evoca le stragi del '92 e ricorre a una suggestione che più suggestiva non si può: dietro la campagna contro Napolitano ci sono «menti raffinatissime» come quelle intuite da Giovanni Falcone come mandanti del fallito attentato contro di lui all'Addaura, nel 1989; e il procuratore capo di Caltanissetta Sergio Lari, via Corriere della Sera, dice no, niente «menti raffinatissime», piuttosto «personaggi politici in attività con nomi e cognomi ben noti». Ma tutte queste tesi hanno un vizio comune, spostare l'attenzione dal cuore del problema: senza quelle telefonate del capo dello Stato spiate questo pasticciaccio culminato nel conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale davanti alla Consulta contro i pm non esisterebbe. E non esisterebbero nemmeno il «ricatto» al Colle e i veleni che stanno tenendo sulla graticola la più alta carica dello Stato.
Esaminiamo, schematicamente, i fatti. Napolitano è stato intercettato su disposizione dei pm palermitani perché parlava con un ex ministro ed ex presidente del Senato, peraltro all'epoca non ancora indagato (a Mancino si contesta la falsa testimonianza); quei colloqui spiati col presidente non sono stati distrutti; e sulla loro esistenza, i loro contenuti, e la decisione del Colle di ricorrere alla Consulta per farli distruggere, si è scatenata una bagarre mediatica (protagonisti principali Il Fatto Quotidiano, Repubblica, e il settimanale Panorama) e politica (il Fatto, Idv e i grillini contro Napolitano, Repubblica, col fondatore Scalfari, contro i pm, il Pd Luciano Violante contro il «populismo giuridico» di chi usa «le procure come clave»). Ma sono state forse «menti raffinatissime» a spingere i pm a intercettare Mancino, a dicembre del 2011, mentre parlava non con un Giorgio qualunque ma con un Giorgio che di cognome fa Napolitano e di mestiere il presidente della Repubblica? «Menti raffinatissime» a far sì che la procura di Palermo, pur ritenendo quelle conversazioni irrilevanti, le conservasse, rischiando che qualcosa trapelasse? «Menti raffinatissime» a orchestrare una campagna mediatica contro Napolitano che in prima linea ha visto Il Fatto e Repubblica, più che Panorama, (artefice di due scoop sull'esistenza di due telefonate con il capo dello Stato e sui loro presunti contenuti)?
Quando Giovanni Falcone parlò di «menti raffinatissime» a proposito del fallito attentato era il 1989. Allora non ci furono stragi, il tritolo arrivò nel '92. E a proposito di quel maledetto '92: di mandanti occulti, «menti raffinatissime» come ha detto qualche giorno fa il procuratore Grasso, sono piene tentate inchieste finite nel nulla, a Palermo come a Caltanissetta. Lo dice lo stesso procuratore nisseno Lari, sia nell'intervista al Corriere sia in un atto, citato nella stessa intervista, uscito qualche mese fa dal suo ufficio e già passato al vaglio del gip: l'ordinanza degli arresti per la nuova inchiesta sull'uccisione di Borsellino. «Nessuna responsabilità – si legge in quel documento - è stata accertata a carico di personalità politiche e istituzionali in quella che può definirsi la “strategia stragista” di Cosa nostra nell'anno 1992». Ma c'è anche altro, in quelle 1700 pagine. Un'ipotesi di spiegazione dei silenzi politici che per anni hanno seppellito l'ipotesi che tra il '92 e il '93 lo Stato abbia tentato di fermare la scia di sangue, sette stragi in 12 mesi. «Poteva un governo di transizione – scrive la procura di Lari – che voleva prefigurare una nuova Italia dopo 50 anni di cosiddetta prima Repubblica, permettersi di trattare con la mafia? Ecco dunque la necessità di agire senza clamore. Ecco dunque il verosimile motivo di tante amnesie da parte di uomini di Stato, che per alcuni sono durate 17 anni, per altri continuano, probabilmente a perdurare ancora oggi. Perché il cedimento venne attuato e sostenuto proprio da quella parte dello Stato che più diceva di voler combattere Cosa nostra: il volto migliore dello Stato».

Berlusconi e il centrodestra, all'epoca, non esistevano. Il riferimento è alla sinistra, che tra quel '92 e '93 guidò il Paese. A quella stessa sinistra che oggi, sullo scontro tra Colle e pm di Palermo, è saltata in aria.

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