Altro che risanatore il Prof sa solo tassare Parola di Debenedetti

L'ex senatore progressista in un saggio boccia le politiche di Monti: "Ha usato la fiducia dell'Europa per tagliare, non per fare le riforme"

Il presidente del Consiglio Mario Monti
Il presidente del Consiglio Mario Monti

Nella lettera che la Bce ha mandato al governo nell'agosto 2011 c'erano dei vincoli, delle prescrizioni e delle raccomandazioni che andavano al di là di ciò che normalmente l'Europa chiede di fare ai vari Paesi», dice Mario Monti intervistato da Federico Fubini. Praticamente la minaccia di commissariamento. Qualunque sia stato il contenuto della famosa telefonata Napolitano-Merkel, è chiaro che Monti era l'uomo di cui l'Europa aveva fiducia, la fiducia che conta, che viene prima, per tempo e per importanza, rispetto a quella che ha avuto in Parlamento. Come l'ha usata?
Monti è stato chiamato per mettere in sicurezza il paese: l'ha fatto aumentando le tasse. Un'indigestione: nell'ultimo anno e mezzo, cioè sommando le ultime di Berlusconi, 4 punti di Pil, 105 miliardi di aumento di imposte, contro 43 miliardi di tagli di spese. È stata la scelta giusta? Era l'unica?
«Lo spread – dice Monti – è il misuratore a quotazione continua e in tempo reale che il passeggero di un taxi sente dal tassista e commenta con lui». Ad alzare lo spread concorre sia il «rischio di reversibilità», come Draghi chiama il break-up dell'euro, sia l'overshooting dei mercati sull'Italia, fattori esterni su cui non possiamo agire direttamente, ma che possiamo influenzare con le nostre decisioni. «L'esplodere della crisi – dice Draghi – accresce drammaticamente l'avversione al rischio: le debolezze di questi Paesi vengono crudamente identificate; in un contesto di crescita già debole, gli spread sovrani iniziano il loro aumento». (...)
Tutte le proposte di eurobond, di union bond, di golden rule per escludere gli investimenti dal calcolo del deficit, la drammatizzazione, i «fate presto» urlati, le pretese che la Germania restituisca i profitti fatti esportando di più grazie a un cambio che le difficoltà dei Piigs hanno contribuito a tenere basso: tutto questo viene letto Oltralpe come conferma che l'Italia recalcitra di fronte alle riforme necessarie per curare alla radice le sue «debolezze». E quindi, anziché diminuirlo, questi fattori contribuiscono ad aumentare lo spread. Monti non percorre queste scorciatoie. Invece tassa.
Tutte le tasse sono recessive. Quanto ogni punto di Pil di tasse riduca il Pil stesso, dipende dalla struttura economica del paese. (...)
Una manovra basata sui tagli è recessiva se si sbaglia a tagliare. In Italia, con un settore pubblico invadente e inefficiente, è quasi sicuro che i tagli vadano a colpire zone di inefficienza e quindi che la produttività totale dei fattori aumenti. Però aumentare le tasse produce gettito subito, mentre le tasse su un Pil cresciuto grazie a un aumento di produttività arrivano dopo. Una legge per imporre tasse è semplice scriverla, rapido approvarla, facile farla eseguire. Una legge sui tagli è complicato scriverla, pieno d'insidie farla approvare, difficile proteggerla nel tempo. La ragione è la solita: le tasse sono una tosatura più o meno su tutti, oltretutto le processioni dei flagellanti predicano che così diminuiscono le disuguaglianze. Invece le riforme toccano gli interessi che si sono organizzati proprio a difesa di piccole e grandi rendite. Con le tasse si toccano le tasche, per fare le riforme bisogna cambiare le teste. Monti, tanto determinato nel voler cambiare la testa degli europei, se si tratta di cambiare quelle degli insegnanti, dei professori, dei medici, degli impiegati pubblici, degli artigiani delle scatole cinesi, di sindacati e magistrati, esita: e tassa. (...) E Monti dimostra ai creditori che hanno ragione, che non c'è da fidarsi: perché, invece di usare la pressione dello spread per vincere le resistenze, usa in Italia la sua autorevolezza per tassare, e in Europa la sua reputazione per ridurre gli spread. (...) Dentro e fuori il governo non mancano (e come potrebbero?) i neokeynesiani. Sospinti dall'incessante martellamento di Paul Krugman, alzano la testa e chiedono di curare la recessione con l'aumento di spesa pubblica, finanziandola vuoi aumentando l'imposizione fiscale (progressiva, of course), vuoi con il debito (meglio se degli altri). Impressionati dalle immagini che arrivano dalla Grecia, sostengono che misure di austerità nel mezzo di una recessione, la aggravano, facendo entrare l'economia in una spirale perversa da cui non riesce più a uscire.

Ma il fatto che le politiche di austerità peggiorino la recessione, nota Alberto Bisin, non implica che esse non siano desiderabili, se le altre sono o non implementabili o ancora peggiori. In un paese come l'Italia, in cui le tasse sono alte, e le spese spaventosamente inefficienti, la solvibilità si garantisce con riduzioni di spesa e non con aumenti di tasse.

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