La difesa dell'ambiente è una cosa che mette tutti d'accordo. Se proviamo a chiedere al primo passante cosa ne pensa della difesa di fiumi, mari, falde acquifere, boschi, parchi e quant'altro, risponderà di certo che è d'accordo e che nel campo della difesa dell'ambiente non si fa mai abbastanza. Poi rientrerà a casa con la coscienza netta a bordo della sua auto, prenderà l'ascensore e accenderà almeno un paio di elettrodomestici e - se fa freddo - non risparmierà di certo sul gas della caldaia.
Di fronte a una visione simile gli ambientalisti hanno due reazioni perché in buona sostanza - come ci spiega Vincenzo Pepe nel suo ultimo libro Non nel mio giardino (Baldini & Castoldi) - ci sono due tipi di «paladini» dell'ambiente: i conservatori e quelli che non rinunciano a un bilanciamento ragionato tra difesa della sicurezza e dell'ambiente e fiducia in un progresso tecnologico «a misura d'uomo».
Il conservatore rinfaccerà all'intervistato tutte le sue contraddizioni, quello fiducioso del contributo del progresso scientifico cercherà di modificare i comportamenti sociali solo grazie all'avanzamento della ricerca, e di certo non bollerà l'intervistato come miope o ipocrita.
Insomma per questo secondo tipo di ambientalista, che ha il suo manifesto in uno scritto di qualche anno fa dello stesso Pepe (Fare ambiente, Franco Angeli, 2009), non si può stigmatizzare i comportamenti dei singoli né si possono censurare tutte le innovazioni che il mercato e il progresso ci portano soltanto perché «a rischio» ambientale.
Con questo nuovo libro Pepe intende aumentare la distanza da quell'ambientalismo ideologico figlio della sessantottina contestazione al modello di sviluppo capitalistico.
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