Milano È uno dei cavalli di battaglia di Enrico Letta: ottenere in un'unica tranche i fondi del programma europeo Youth Guarantee. Dopo il vertice sul lavoro di ieri le basi per portare a casa il risultato pare ci siano. Anche perché quella somma è già nella bozza delle conclusioni del Consiglio europeo del 27 e 28 giugno. Peccato però che si tratti di briciole: 400 milioni in tutto, per il biennio 2014-2015.
Spiccioli che finiranno tutti dritti nelle casse di imbalsamati centri per l'impiego. In teoria, per potenziarne l'attività di formazione ai neolaureati e di offerta di lavoro ai disoccupati. In pratica, data l'assenza di una generale riforma degli ex collocamenti, per dare momentanea linfa al sistema attuale. Fatto per lo più di scartoffie: dichiarazioni per accertare la cassa integrazione, lo stato di disoccupazione, la mobilità. Carte utili a ottenere esenzioni fiscali, dai ticket alla tassa sui rifiuti.
Per capire come funzionano davvero i 529 centri per l'impiego del Paese basta trascorrervi mezza giornata. A Milano, in quello all'angolo tra via Soderini e via Strozzi, alle 10 del mattino la fila è già lunghissima. Conviene tornare tra le 13 e le 13.45, quando i dipendenti sono in pausa. Come fa la signora Carla, 45 anni, che, sudata e un po' in affanno, ammette: «Ho pranzato presto e portato il cane a spasso, poi di corsa qui». Passa al di là delle porte scorrevoli, prende il numero che scandisce la seconda fila, quella di chi è già dentro, si siede. «Aspetto qua così faccio prima, tanto mi serve solo che accertino il mio licenziamento». Il piano terra della grossa struttura da poco rinnovata è riservato a disoccupati, invalidi, immigrati. Fasce protette e burocrazia. I neolaureati o chi, comunque, un contratto di lavoro non l'ha mai avuto devono percorrere la futuristica spirale che porta al piano di sopra, alla «Città dei mestieri». Dove un cartello annuncia che in questo ufficio si può stampare il curriculum vitae (due copie) e avere la consulenza di «operatori esperti». Lo stesso cartello avvisa, nero su bianco: «Qui non trovi lavoro. Non trovi un contatto diretto con le aziende».
Un'addetta spiega: «Forniamo gli indirizzi delle aziende, ma non sappiamo se cercano personale». Il contrario di quanto avviene nelle agenzie private (le varie Adecco, Manpower, per citare le più note), dove il dialogo diretto con chi domanda lavoro è tale che spesso pure la prima scrematura dei candidati passa per l'agenzia. Nelle «politiche attive», quelle che dovrebbero provvedere al «matching», all'incastro tra offerta e domanda di lavoro come pezzi di un puzzle, il servizio dei centri pubblici è dispersivo. Lo testimonia Sabrina, diplomata alla scuola orafa di Milano. Jeans largo e felpa verde, spulcia perplessa tra gli annunci attaccati sulle bacheche. «Mi sono iscritta un anno fa», racconta, «ma non ho trovato nulla». E quella del capoluogo lombardo sembra una realtà efficiente: nell'ordinato stanzone con il pavimento a scacchiera giallo-arancio ci sono vademecum scritti da qualificati esperti e fior di guide sul modo giusto di affrontare un colloquio, tutto consultabile.
Che ci sia molto orientamento e poco collocamento è un fatto: in Italia solo il 3 per cento di chi cerca lavoro lo trova grazie ai centri per l'impiego pubblici. La gestione è disorganica: spetta alle Provincie, e ciascuna ci investe quanto vuole e può. Il ministero del Lavoro non possiede dati aggiornati sui centri. A compattare la rete dovrebbe pensarci Italia Lavoro, la spa creata nel '97 e poi trasferita dal ministero del Lavoro all'Economia.
«Sono venuto a tentare, ma dubito serva davvero», sospira Ermanno, 30 anni, un dottorato in statistica alle spalle. Marsupio anni '80 stretto in vita, inforca la bicicletta, alza le spalle e se ne va.
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