
- Il vertice Putin-Trump è davvero stato un fallimento? Dipende. Dipende da cosa ci si aspettava da quei due e soprattutto dal pregiudizio con cui gran parte dei media si avvicinano a qualunque cosa facciano The Donald e lo Zar. Però ci siano permesse alcune osservazioni. Primo: l’ospitalità riservata dal presidente Usa a quello russo. Che gli ucraini si lamentino per il tappeto rosso, l’applauso, i sorrisi e il viaggetto insieme in limousine ci sta: in fondo le bombe russe hanno ucciso i loro figli, padri, mogli e mariti. Che la comunità internazionale si scandalizzi, invece, anche no. Che Putin non sia un santo è cosa risaputa, come non lo sono gran parte dei governanti del mondo non occidentale. Però se si vuol porre fine ad una guerra non si può far altro che trattare con chi volenti o nolenti si ha davanti. Avreste forse voluto un trattamento alla Zelensky, con tanto di lite e - magari - lo scoppio di una guerra globale? Secondo: il mancato cessate il fuoco. La verità è che se Donald fosse riuscito a ottenerlo sarebbe stato sì, un vero miracolo. Ma non averlo definito in Alaska sta a significare, probabilmente, che le richieste avanzate da Putin (si parla dell’intero Donbas e di altro) erano tali da non permettere a Trump di accettare “per conto” dell’Ucraina. In fondo gli stessi che oggi criticano il “buco nell’acqua” fino a ieri invitavano giustamente The Donald a non firmare accordi senza il benestare di Zelensky. Terzo appunto: è forse il caso di dare tempo al tempo. La fine di una guerra non è un pranzo di gala. E le trattative possono essere complicate. Il summit in Alaska porterà a qualcosa? Difficile dirlo. Ma forse è bene non ascoltare troppo in questa sede i disfattisti: in fondo, quelli che oggi ci garantiscono il fallimento dell’operazione erano gli stessi che tre anni fa davano Vladimir Putin per malato di tumore al pancreas, in fase terminale, o addirittura già morto. Forse è per questo che il summit è fallito: perché in realtà sul tappeto rosso non c’era Vladimir, ma uno dei suoi innumerevoli sosia.
- I volenterosi per l’Ucraina si riuniscono e ribadiscono l’ovvio, ovvero che senza coinvolgere Kiev non si può fare nulla. La verità è che per quanto Trump stia cercando in qualche modo di coinvolgere Bruxelles, Londra e Parigi, la partita non si gioca in Europa. Siamo dei comprimari. E credo che l’unico motivo per cui The Donald domani vuole incontrare i leader europei è che spetterà a noi, e ai nostri eserciti, fornire le garanzie di sicurezza a Kiev.
- Emmanuel Macron ha un problema: vorrebbe essere ciò che non riuscirà mai a diventare. Ovvero un potente della terra. Ma la verità è che per quanto abbia tramato per provare ad essere prima pontiere e poi testa d’ariete con la Russia, le carte continuano a darle gli Stati Uniti e Mosca. La sua dichiarazione odierna (“La Russia non vuole pace ma capitolazione”) non è utile, anzi potenzialmente pericolosa per le trattative in corso in questi giorni.
- Il 13enne rom alla guida dell’auto che ha falciato una donna a Milano è scappato dalla comunità
che lo ospitava per tornare nel campo nomadi. Lo hanno riacciuffato. Ma questo conferma quando scrivevamo l’altro giorno: non è “solo” un bambino. Tra un anno il giovane nomade potrà guidare le auto elettriche e i motorini…