RomaSi è interrotto più di una volta, con gli occhi lucidi, la voce incrinata per l'emozione. «La mia toga è pulita - ha detto - e spero di consegnarla presto a mio figlio». Poi l'ex ministro Francesco Saverio Romano ha aspettato la sentenza del gup Ferdinando Sestito. E a conclusione della camera di consiglio, poco dopo le 13, è arrivata l'assoluzione dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa: per incompletezza, contraddittorietà o insufficienza della prova. Tutta la teoria sul contatto tra Romano e la mafia è smontata. Dopo nove anni, e un processo politico che trascinò l'ex ministro e parlamentare del Pid (Popolari di Italia domani) sul banco degli imputati nell'assemblea di Montecitorio dieci mesi fa, Romano è fuori dalle aule di tribunale.
Il processo giudiziario era partito nel 2003, quando l'avvocato palermitano militava nell'Udc di Casini. Secondo l'accusa, Romano aveva instaurato «un patto politico elettorale mafioso» con Cosa Nostra. Ma nel 2005 il gip aveva accolto la richiesta di archiviazione della procura. Poi di nuovo un colpo di scena, la procura di Palermo riapre le indagini. Il pentito Massimo Ciancimino lo accusa di avergli pagato una tangente da 100mila euro. Romano viene iscritto nel registro degli indagati dalla Dda. L'accusa nei suoi confronti è di concorso in corruzione aggravata dal favoreggiamento di Cosa Nostra.
Il clamore esplode quando da Palermo arriva la notizia del rinvio a giudizio, ad appena quattro mesi dalla nomina di Romano a ministro dell'Agricoltura del governo Berlusconi.
Il passaggio alla maggioranza era avvenuto di fatto il 14 dicembre del 2010, il giorno della fiducia alla Camera che aveva decretato la sconfitta dell'ala dei finiani e la conferma per Berlusconi, con l'innesto nel centrodestra di nuovi parlamentari tra i quali Romano. Di lì a poco, la formazione della componente del Pid nel gruppo misto, e la nomina, il 23 marzo del 2011, di Romano a ministro. Una nomina arrivata non senza le perplessità del Quirinale, che in una nota aveva fatto cenno alle indagini in corso, con l'augurio che la situazione penale si chiarisse.
Il voto di sfiducia, proposto dalle opposizioni, era arrivato due mesi dopo il rinvio a giudizio, al termine di un'estate da «precondannato» per Romano. Le minoranze pensavano che quel giorno sarebbe stato l'ultimo del governo. Il 29 settembre la rimozione fu però respinta con 315 «no» contro 294, e l'uscita dei radicali dall'aula. Ora è arrivata l'assoluzione. Il pm Antonino di Matteo aveva chiesto otto anni di reclusione.
«Rispettiamo qualunque decisione che è un atto di giustizia», il commento del procuratore di Palermo Francesco Messineo. L'indagine è stata sbriciolata dalla sentenza, ma Messineo ci tiene a sottolineare che «quando si parla di prova insufficiente si allude comunque alla sussistenza di elementi sia pure non idonei a raggiungere la soglia del convincimento al di là di ogni ragionevole dubbio».
La difesa in effetti puntava alla formula piena: «È una sentenza che lascia la bocca amara - precisa l'avvocato Franco Inzerillo - perché dice che la prova è insufficiente, mentre noi eravamo certi dell'assoluzione con formula più ampia».
La giustizia restituisce comunque all'ex ministro Romano «la meritata serenità». Rimane però «l'ombra - sottolinea il segretario del Pdl Angelino Alfano - dell'accanimento mediatico e politico che ha subito per anni in modo ingiustificato e strumentale. Oggi più che mai ci si dovrebbe interrogare su come mai una persona, innocente fino al terzo grado di giudizio, rischia di essere condannata in via preventiva ancora prima del termine naturale del processo». L'augurio, aggiunge Maurizio Lupi, è ora che «gli accusatori di allora», ossia i parlamentari dell'opposizione, «riconoscano l'errore e chiedano scusa al collega Romano».
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