di«La santità non appartiene al passato» dice il prefetto della Congregazione per le cause dei santi, Angelo Amato, all'Osservatore Romano. Ed è questo lo spirito con il quale Benedetto XVI ieri ha voluto canonizzare sette nuovi santi. Fra loro un italiano, Giovanni Battista Piamarta, sacerdote bresciano e fondatore della Congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth e della Congregazione delle Suore Umili Serve del Signore vissuto tra il 1841 e il 1913, e anche, per la prima volta, una ragazza pellerossa. Si tratta di Kateri Tekakwitha, di padre irochese e di madre cristiana algonchina.
Nata nel 1656 a Ossernenon (nell'attuale Stato di New York) da un indiano irochese pagano e da una algonchina di nome Kahontake (che dopo aver ricevuto il battesimo era stata fatta prigioniera dagli irochesi e, nonostante le difficoltà di vivere fra pagani, era riuscita a preservare la sua fede) Caterina Tekakwitha aveva ricevuto alla nascita il nome di Ioragode che significa «Splendore del sole», ma a causa del vaiolo (che quando aveva 4 anni gli aveva anche ucciso la madre) ebbe il viso sfigurato e perse la vista, tanto che era costretta a camminare tenendo le mani protese in avanti per rendersi conto se c'era dinanzi a lei qualche ostacolo: da ciò il soprannome di «Tekakwiatha», che nel linguaggio indiano Mohawk significa appunto «una persona che procede con le mani in avanti» per allontanare gli ostacoli, ovvero, analogamente, «una persona che con le sue mani mette tutte le cose in ordine».
Nonostante l'infermità, ricorda il postulatore, padre Paolo Molinari, «era sempre gioiosa, dolce, gentile e docile, industriosa e incline alla virtù. Aveva ricevuto segretamente dalla madre i rudimenti della vita cristiana che, con l'andare del tempo e grazie all'azione di Dio in lei, maturarono facendone una ragazza singolare per la sua grande bontà nei confronti di tutti.
Nel giorno di Pasqua 1676 venne battezzata e ricevette il nome di Kateri (Caterina). Una volta ricevuto il sacramento dell'iniziazione cristiana, la giovane pellerossa divenne in modo sempre crescente una fervente figlia di Dio: la sua sollecitudine per i malati, i sofferenti, i più poveri; la sua umile dolcezza e la carità verso tutti, resa ancor più trasparente dalla sua purezza, non poterono rimanere nascoste. Non pochi, non potendo accettare la sfida che loro veniva dalla virtù e dalla bontà di una giovane della loro tribù, la schernivano, la maltrattavano e la minacciavano in molti modi».
«L'esempio di Kateri Tekakwitha aiuti ogni cristiano», ha auspicato il Papa, a vivere la fede a partire dalla propria «identità», e favorisca il rinnovamento della fede delle «prime nazioni» in tutta l'America del Nord. Il Papa ha pronunciato queste parole in inglese nella omelia della messa che segue il rito di canonizzazione dei sette nuovi santi.
«Kateri - ha osservato ancora Papa Ratzinger - ci impressiona per l'azione della grazia nella sua vita in assenza di sostegni esterni, e per il coraggio nella vocazione tanto particolare nella sua cultura.
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