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Dopo aver dettato i tempi ai giudici, ora il Corriere vuole la testa del Cav

A luglio il Corriere della Sera dettava i tempi ai giudici per evitare la prescrizione. Adesso de Bortoli vuole le dimissioni del Cav: "Le sentenze vanno rispettate"

Dopo aver dettato i tempi ai giudici, ora il Corriere vuole la testa del Cav

Il cerchio si è chiuso. Oggi Ferruccio de Bortoli ha chiesto le dimissioni di Silvio Berlusconi: "Il voto anticipato, come conseguenza di un giudizio personale, farebbe pagare al Paese intero pene accessorie tanto gravi quanto insopportabili e ingiuste". Dopo la sentenza dei giudici della Cassazione sul processo Mediaset, il verdetto del direttore del Corriere della Sera sul futuro politico del Cavaliere. C'era da aspettarselo. Chi non l'aveva messo in conto, è solo un illuso. Perché da quella stessa prima pagina era arrivata una ventina di giorni fa la soffiata alla Suprema Corte. Come nel dicembre 1994 fu il quotidiano milanese a dare il via alla carriera giudiziaria di Berlusconi, lo scorso 9 luglio fu lo stesso giornale a individuare una mina in grado di affossare il processo per i diritti tv e, quindi, a consigliare alla Cassazione ad anticipare la sentenza.

"Le sentenze vanno rispettate". Non è Ezio Mauro dalle colonne della Repubblica né la quotidiana reprimenda di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano. La sentenza arriva da via Solferino. Nell'editoriale di oggi, de Bortoli mette alle strette il Cavaliere: tira le somme di una condanna ingiusta e prettamente politica e chiede al leader del Pdl un passo indietro paventando un'incancrenirsi della crisi economica e un violento baratro istituzionale. Aldilà dell'epifania dell'Armageddon, l'ultimatum lanciato dal Corriere della Sera lascia il tempo che trova. Non è altro che l'ultimo capitolo di un agguato che si muove su tre piani: politico, giudiziario e mediatico. Non è infatti un caso che a mettere in moto la macchina della Cassazione, che è arrivata a condannare Berlusconi in tempi di record, sono stati proprio i cronisti di via Solferino scovando l'intoppo di cui neanche la procura si era accorta. Colpa della legge nota come ex Cirielli, che nel 2005 ha modificato le norme sulla prescrizione. Il più grave dei reati contestati al Cavaliere, la frode fiscale del 2002, avrebbe così rischiato di venire inghiottita dalla prescrizione già il prossimo settembre. A quel punto la Suprema Corte non avrebbe potuto ridurre di sua iniziativa la pena, ma sarebbe stata costretta a rispedire tutto a Milano per un ricalcolo. Era bastato un articolo sparato in prima pagina sul Corriere della Sera per attivare le toghe e affrettare il tutto. È così che si è arrivati alla condanna a quattro anni di carcere pronunciata giovedì scorso. "La saggezza dovrebbe consigliare a Berlusconi di accettarne le conseguenze", ha sentenziato de Bortoli invitando il Cavaliere a "dimettersi prima della presa d'atto dell'Aula".

Un editoriale di fuoco che punta a decapitare il centrodestra mascherandosi dietro all'appello alla responsabilità Eppure c'è davvero poco di che stupirsi.
I processi e gli attacchi giudiziari a Berlusconi hanno sempre trovato un'ampia eco sulla stampa. Fughe di notizie e fughe in avanti hanno, iunfatti, accompagnato tutti i procedimenti contro il Cavaliere. Dal caso Mills al Rubygate, dal processo Sme al causa sui diritti tv, più di una volta sono stati i giornaloni a influenzare le toghe o a fare da megafono alle toghe. Senza nulla togliere alle crociate di Repubblica o alle invettive del Fatto Quotidiano, è in via Solferino che tutto ha avuto inizio. Diciannove anni fa fu il Corriere a pubblicare lo scoop che avrebbe affossato il primo governo Berlusconi: l'avviso di garanzia che, mentre il quotidiano andava in edicola, un colonnello dei carabinieri portava all'allora leader di Forza Italia, proprio mentre sta presiedando il G8 a Napoli.

Con le dimissioni chieste oggi da de Bortoli si è, infine, chiuso il cerchio.

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