Sotto osservazione renziana, da mesi, c'è Telekabul, la rete in quota Pd ancora guidata (struttura, tg, conduzioni) da professionisti più legati alla stagione Bersani-Letta che non a quella Renzi. La visione del Tg3 spesso provoca contorcimenti nel cerchio magico del premier, che tiene la pratica Rai ancora in un cassetto, impegnato con dossier più urgenti (riforma del Senato, Def, Jobs Act...). I pretoriani di Renzi in materia Rai sono i due deputati Michele Anzaldi, membro della Vigilanza Rai, e Lorenza Bonaccorsi, componente della commissione Telecomunicazioni. Saranno partite da lì le telefonate di fuoco, dirette a Viale Mazzini, di cui scrive Dagospia? «Ieri è stato passato il segno, è una vergogna sbraitava in Transatlantico un piddino della commissione di Vigilanza Rai, tenendo in mano i fogli della trascrizione della puntata di Ballarò», racconta il sito di D'Agostino. Il problema sarebbe il trattamento, giudicato troppo critico dai vertici del Nazareno, riservato da Floris alla riforma renziana del Senato, demolita in apertura di programma (che, per la verità, esordiva con un'intervista proprio a Renzi) da Elisabetta Rubini, avvocato e componente di «Libertà e Giustizia», l'associazione di intellettuali anti Renzi. «Renzi è un demagogo o uno che fa? Voi siete demagogia o persone che fanno?» chiede il conduttore all'ospite Nunzia De Girolamo, di Ncd, alleati di governo. Domanda che lascia trasparire i dubbi di Floris sull'agenda renziana, poi chiariti da lui stesso: "Io... al di là del fatto se sia giusto o no togliere il Senato, che dal mio punto di vista non è se non altro dannoso... ma se questo discorso lo avesse fatto Ponzio Pilato quando chiedeva Barabba o Gesù? Dice: Beh, il popolo vuole Barabba.... Si può sbagliare anche se lo vuole il popolo?». Bacchettate al segretario Pd che partono proprio dalla rete Rai in appalto al Pd, un problema su cui prima o poi Renzi metterà le mani.
Già ma quando? I tempi della «renzizzazione» di Viale Mazzini sono scanditi da due scadenze. La prima riguarda il destino di Luigi Gubitosi, direttore generale di epoca montiana, poi entrato in ottimi rapporti con Letta, e adesso rientrato nel totonomine per le controllate del Tesoro (si parla di Enel e Poste). Se Gubitosi nelle prossime settimane traslocherà, allora il governo avrà carta bianca per scegliere un nuovo dg di osservanza renziana. Che però sarà ancora un direttore dimezzato, perché per le nomine editoriali dovrà passare dal Cda, composto da cinque consiglieri di area centrodestra e due di area centrosinistra-Pd ma non certo renziana. E qui si arriva alla seconda scadenza, l'aprile 2015, quando i vertici - presidente, dg e Cda - cesseranno il loro mandato. A quel punto Renzi potrà ridisegnarsi una Rai a sua immagine e somiglianza, e dunque i bookmaker di Viale Mazzini scommettono che per un annetto le poltrone (e le conduzioni) non si muoveranno molto, per quanto poco amate dai renziani.
Prima, però, Renzi potrebbe svelare la sua idea sulla nuova Rai, accennata soltanto in alcune interviste. Si tratterebbe di riformare la legge Gasparri e di cambiare la governance della tv pubblica, sul modello della Bbc inglese. Non più un Cda nominato dalla Commissione parlamentare di Vigilanza ma un Comitato esecutivo composto da manager. Non più un direttore generale ma un amministratore delegato, e una separazione societaria tra servizio pubblico (da finanziare col canone) e servizio commerciale (da pagare con gli spot). Questo farebbe della nuova Rai un soggetto non più dipendente dal Tesoro, cosa che permetterebbe di aggirare anche un problemino: trovare un manager che la guidi senza incorrere nei tetti di stipendio (massimo 311mila euro) imposti dalle nuove regole per le società del Tesoro. Uno stipendio troppo magro per molti top manager sul mercato.
Gli anni di vita di «Ballarò», condotto dal 2002 da Giovanni Floris, ex corrispondente Rai negli Usa
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