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Basterà l'ok di un giudice e l'ex premier andrà in cella

Se il Cavaliere dovesse perdere l'immunità parlamentare qualunque toga rossa potrebbe richiederne l'arresto

Basterà l'ok di un giudice e l'ex premier andrà in cella

Milano - Una sola speranza per Berlusconi: che abbia ragione Giuseppe Guzzetta, giurista assai lontano dal Pdl, che ieri ha spiegato che non si può cacciarlo dal Parlamento in base al cosiddetto «decreto Monti». Perché è ben vero che il decreto stabilisce la decadenza automatica dalle cariche per i condannati: ma il decreto è dell'anno scorso mentre i reati del Cavaliere risalgono invece a dieci anni fa. E le leggi non possono essere retroattive.
Se la «linea Guzzetta» non verrà fatta propria dal Senato Berlusconi non si troverà semplicemente fuori dal cuore della vita politica del paese. Si troverà anche, per la prima volta dopo diciannove anni, privato dell'immunità parlamentare. Nel suo testo attuale, come è noto, l'articolo 68 della Costituzione offre a deputati e senatori soprattutto una tutela: non possono essere arrestati se non per sentenza definitiva. Non possono, cioè, essere sottoposti a custodia cautelare durante le indagini a meno che il Parlamento non autorizzi le manette.
Dal momento in cui il Senato dovesse ratificare la sua decadenza, Berlusconi si troverebbe immediatamente privo di questo scudo. La sua lotta con la magistratura, probabilmente, continuerà. Ma in condizioni assolutamente mutate, in cui qualunque pubblico ministero d'Italia potrebbe spedirlo in prigione con il semplice assenso di un giudice preliminare.
Ed è un rischio tutt'altro che teorico. La notizia buona per Berlusconi è che le indagini a suo carico delle procure di Napoli e di Bari - quelle per il presunto acquisto di parlamentari e per i rapporti con Gianpaolo Tarantini - sono già chiuse, e per i pubblici ministeri sarebbe arduo motivare la richiesta di arresto. La notizia cattiva è che a Milano sulla sua testa pende una spada che potrebbe avere conseguenze disastrose. È l'inchiesta che la Procura dovrà aprire sulla base della sentenza del processo Ruby 2, con cui il tribunale - oltre a condannare Nicole Minetti, Lele Mora e Emilio Fede - ha inviato ai pm gli atti relativi alla stessa Ruby, a un congruo numero di Olgettine, a Silvio Berlusconi e ai suoi difensori Niccolò Ghedini e Piero Longo. La convinzione del tribunale è che le ragazze chiamate a testimoniare abbiano mentito, e lo abbiano fatto perché pagate da Berlusconi. Non falsa testimonianza, dunque, ma un reato ben più grave: corruzione in atti giudiziari. Mentre l'arresto per falsa testimonianza dovrebbe essere reso impossibile dalla legge in corso di approvazione, per corruzione giudiziaria si va in galera.
L'inchiesta ha già un nome, Ruby 3, ma non è ancora partita. Prenderà il via a settembre, dopo la pausa estiva. Chi la condurrà? In teoria, Ilda Boccassini non ne ha la competenza: la dottoressa è a capo del pool antimafia, e finora era coinvolta nel caso Ruby solo perché il fascicolo era di uno dei suoi pm, Antonio Sangermano. Ma adesso, finiti i processi, Sangermano è definitivamente trasferito a Prato.

E l'inchiesta dovrebbe toccare al pool che si occupa di reati contro la pubblica amministrazione, guidato dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo. Ma rinuncerà, la dottoressa, a fare comunque sentire la sua voce?

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