La bellezza è in pericolo. Salviamola

«La bellezza salverà il mondo». Ma non scherziamo, mi verrebbe da rispondere. Semmai, oggi è la bellezza a dover essere salvata dal mondo. Eppure, più di vent'anni fa, quando venne pubblicato per la prima volta il mio libro La bellezza (Bollati Boringhieri, 1990), la realtà culturale e il sentimento pubblico nutrivano nei confronti della bellezza un'avversione smisurata: argomentata o semplicemente esibita nella comunicazione quotidiana. La bellezza era considerata una categoria estetica avversa alla modernità, antagonista alla cultura dominante nel '900. Dalle teorizzazioni delle Grandi Avanguardie artistiche, musicali, letterarie ai temi del disegno industriale, dell'artigianato, dell'arredamento, fino alle problematiche filosofiche, la bellezza rappresentava un'idea sorpassata, politicamente reazionaria.

L'architettura – arte di frontiera che spesso è in grado di anticipare teorie e gusti – è l'esempio immediato di come nel XX secolo si sia affermata un'idea di creatività in cui la razionalità, la funzionalità, il rigore delle geometrie costituivano princìpi radicalmente in contrasto con il concetto di bellezza. Le sarcastiche, irriverenti analisi di Adolf Loos sono un illuminante breviario di tutto ciò che di negativo può dirsi della bellezza.

Il bello è l'effimero, l'inutile ornamento, l'edulcorata superficie delle cose che una cultura scientificamente all'altezza delle necessità moderne deve respingere e, là dove è possibile, condannare. Per almeno tre migliaia di anni l'educazione estetica è stata alla base della formazione dell'uomo. La modernità novecentesca, seguendo invece uno sviluppo iniziato nella seconda metà dell'800, quando la rivoluzione industriale e la pervasività del sapere scientifico avevano ridefinito gli statuti della conoscenza, ha abbandonato i princìpi dell'educazione estetica adottando quelli delle scienze e delle tecniche. L'arte, nel passato, aveva la funzione di formare l'individuo, trasmettendogli il senso del sacro, del potere, del valore, costruendo la sua identità sociale e religiosa; nella modernità si è interrotto questo antico processo di educazione, condannando all'esilio la bellezza. \

La questione, oggi, è diversa: la diffusa presenza di un altro conformismo, meno ideologico ma più fastidioso e stucchevole. Si parla insistentemente, da molti pulpiti, e spesso a sproposito, di bellezza.

A guardar bene, sembrerebbe la celebrazione di un'idea di bellezza simmetricamente opposta a quella che veniva demonizzata e relegata tra le anticaglie di una cultura ritenuta superata dallo spirito della modernità trionfante. Si è fatta strada, in questi tempi, l'espressione «qualità della vita». Un modo di dire comodo e superficiale, usato in tutte le circostanze in cui si vuole esprimere il desiderio e la necessità di oltrepassare la mera quantità, che non terrebbe nella giusta considerazione ciò che davvero conta nella vita. La quantità è accumulazione, somma; la qualità è valore, significato.

Oggi ci troviamo di fronte a chi ingenuamente non ha neppure la minima idea dei motivi per cui la modernità ha annientato il significato della bellezza, oppure a chi – con un classico opportunismo culturale (e politico) – si guarda bene dall'aprire una riflessione sulle tesi che hanno portato il movimento moderno contro la bellezza, di cui egli stesso è stato probabilmente a suo tempo un corifeo. Ma in un caso come nell'altro si leva adesso al cielo un'ovazione alla bellezza. Se, prima, chi non voleva apparire uno sprovveduto si guardava bene dal giudicare un'opera d'arte «bella», preferendo affermare con sussiego che si tratta di qualcosa di interessante, ora nessuno ha remore o pudori nel pronunciare la parola «bello» nel giudizio estetico. Bello diventa un po' tutto quello che è importante, suggestivo, moralmente accettabile... Certo, in questo gaio revival della bellezza nella sua effimera genericità e interscambiabilità di senso, ha un ruolo decisivo la frantumazione di tante sovrastrutture ideologiche e politiche che hanno attraversato il '900.

E poi, si aggiunga a ciò lo stato dell'arte globalizzata con quel suo friggere e rifriggere i modelli estetici avanguardistici, neoavanguardistici e così via, i quali, se una volta avevano una forza trasgressiva, dissolutiva, nichilista, futurista, oggi appaiono noiosi manierismi ormai incapaci di convincere chicchessia della loro novità, se non quei critici che hanno trasformato l'arte in un sistema finanziario.

Ma in questo gaio e allegro ritorno alla bellezza, si ascolta sommessa, ma sempre più chiara, la sua implorazione: salvatemi dal mondo, non abbandonatemi nelle mani dei padroni della qualità della vita!

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