Politica

Beppe Grillo da Oscar Ha la fedina sporca ma recita da santo

Vive all’opposto di come predica e pensa il contrario di ciò che dice. Da ragazzo voleva giocare nella Sampdoria, incontra Baudo poi la Rai lo caccia. E si ricicla imbonitore politico

Beppe Grillo da Oscar Ha la fedina sporca ma recita da santo

Ora che Beppe Grillo è un leader, abbiamo un altro spiantato che ha trovato rifugio nella politica, oltre a Di Pietro e De Magistris.
Poiché vive all’opposto di come predica e pensa il contrario di ciò che dice, Grillo è continuamente costretto ad arrampicarsi sugli specchi e a spararle grosse. Poco male se fosse rimasto quel che era: un comico di cabaret. Ma poiché si proclama coscienza critica e arcangelo della legalità, è il caso di esaminare l’uomo quale si è manifestato nelle sue 64 primavere. Giuseppe Piero Grillo è cresciuto nel quartiere genovese di San Fruttuoso.

Il padre, Enrico, aveva un’aziendina di fiamme ossidriche, la «Cannelli Grillo». Ma poiché né il Giuse (suo vero diminutivo, Beppe è un nome d’arte), né il fratello ne seguirono le orme, l’officina fu ceduta ai dipendenti. Giuse, che era ragioniere, piantò economia e commercio dopo due anni e si mise in proprio. Provò a vendere jeans ma restò in braghe di tela e fu a lungo un bighellone. Stazionava al bar e tifava Sampdoria. Da ragazzino voleva diventare calciatore, ma - come raccontò il dirigente di un club - «era una balena e lo chiamavano Porcellino anche se aveva un buon tocco di palla». In squadra - ha scoperto Filippo Facci - giocavano altri due genovesi poi diversamente famosi: Antonio Ricci, l’inventore di Striscia la notizia, e il killer Donato Bilancia (diciassette omicidi, tredici ergastoli). Bilancia pareva così inoffensivo da meritarsi l’appellativo di «belinetta», diminutivo di belin, parola variamente usata a Genova: «Sei un belin!».

Giuse intanto suonava la chitarra, aveva la battuta pronta e tirava tardi. Cominciò a fare del cabaret nelle balere con tiepido successo. Nei primi anni Settanta traslocò a Milano in cerca di miglior fortuna. Inalberò l’attuale barbone (pare per risparmiare sulle lamette) e approdò a «La Bullona», night in. Una sera entrò Pippo Baudo con una troupe Rai che cercava talenti da lanciare. Fu la svolta. Grillo piacque, ma altrettanto un suo amico cabarettista. Poiché l’attenzione di Baudo sul rivale si prolungava, Beppe ebbe una crisi di invidia e si dileguò.

Più egocentrico della monaca di Monza, Grillo è soggetto a capricci da primadonna. Il regista Dino Risi, che lo diresse in Scemo di guerra (1984), ha raccontato: «Beppe si ingelosì del rapporto speciale che avevo con Michel Coluche. Così, per ripicca, si diede malato. Per due mesi dovemmo sospendere le riprese. Finché gli fu fatta balenare la minaccia di una penale: da buon genovese si ripresentò sul set». Anni dopo, quando già Grillo era come oggi, Risi aggiunse: «La cosa che gli è riuscita meglio è l’antipolitica. Ma è più attore adesso che non al tempo in cui girava il film. Grillo non crede affatto in ciò che scrive quotidianamente nel blog».
Sotto l’ala di Baudo, divenne famoso in tv. Poi incappò nell’incidente. Il 15 novembre 1986, mentre presentava Fantastico 7, mise alla berlina Bettino Craxi, allora premier. Bettino era reduce da un mandarinesco viaggio in Cina con la sua corte e vagonate di champagne. Grillo fece lo spiritoso in diretta: «La cena in Cina... i socialisti... mangiavano... A un certo punto Martelli ha chiamato Craxi e ha detto: «Senti un po’, qua ce n’è un miliardo e sono tutti socialisti?». E Craxi ha detto: «Sì, perché?». «Se sono tutti socialisti, a chi rubano?». Così, fu cacciato dalla Rai e nacque l’imbonitore politico che conosciamo.

Niente lo autorizzerebbe a impancarsi, poiché le sue notevoli magagne prevalgono sulle sue scarne virtù. È tirchio, avido, bugiardo e pregiudicato, anche se fa continui gargarismi con la parola legalità. Tutti sanno dell’incidente che causò alla vigilia di Natale 1981, correndo con un fuoristrada su una mulattiera ghiacciata delle Marittime. Tre morti: una coppia di amici e il figlioletto di nove anni. Nei tre gradi di giudizio cercò sempre di sminuire le sue responsabilità. Ebbe un anno e 4 mesi per «macroscopica imprudenza». Chiunque sarebbe rimasto annichilito, evitando per l’eternità di fare le bucce agli altri. Grillo invece, come si sveglia, insulta. Ha trattato da «vecchia puttana» Rita Levi Montalcini; ha dato del «coglione» a Maurizio Lupi; ha minacciato di prendere «a calci in culo» Franco Battaglia, nostro illustre collaboratore, reo di essere nuclearista e denunciare gli inganni ecologisti. Già, l’ecologia. Grillo se ne riempie la bocca ed è al centro del suo M5S. Ma gratta gratta, trovi il saccheggiatore. Il comico, che abita una satrapica villa a Sant’Ilario, vista Tigullio, ha sempre detto di usare poca energia e quel po’ solare. Su queste basi, attaccò l’Enel e l’allora presidente, Chicco Testa, un verde convertito al nucleare. Testa reagì in un’intervista: «Grillo non mi piace. Il suo blog è un concentrato di leggende metropolitane e populismo». Alludeva alle bufale ecologiste che Beppe spaccia ogni giorno via internet. Una volta scrisse che le onde di una coppia di cellulari avevano fatto cuocere delle uova.

Un’altra, prendendosela con i detersivi, reclamizzò il biowashball, pallina di ceramica in grado di fare il bucato in lavatrice senza detergenti. Giurò che l’aveva sperimentata con successo. Ma era una bubbola dell’accidente. La biopalla, infatti, non è mai esistita perché era l’invenzione di un articolo satirico inglese per ridicolizzare le fisime ambientaliste. Grillo o ha abboccato da pirla o ha ingannato con dolo i seguaci del blog.

Aggiungeva Chicco Testa di avere ordinato una verifica dei consumi di Grillo nel villone. «Diceva che a casa sua con il solare - raccontò Testa, citando la relazione tecnica - produceva tanta energia da vendere quella in eccesso. Venne fuori invece che da solo consumava come un paesino».

La sua presunta autonomia energetica si riduceva a un paio di pannelli capaci di fornire al massimo due kilowatt, buoni per l’asciugacapelli. Il tenore di Beppe fa a pugni con lo sviluppo sostenibile di cui si proclama seguace. Ha avuto Ferrari, Porsche, Chevrolet, Maserati, yacht. Ha immobili a Genova, in Sardegna, Torino, Valle d’Aosta, una villa da milord in Toscana. È ricorso due volte al condono edilizio (1997 e 2002) e una a quello fiscale (2003). Ma, a ogni varo di condono, ha condannato con indignati proclami una «pratica che premia i disonesti».

Col denaro Beppe non scherza. Ne sa qualcosa la seconda moglie, Parvin Tadjk, che dopo la spesa subiva dal marito controlli di tipo doganale sugli scontrini, al limite della perquisizione corporale. Antonio Ricci ha raccontato che dopo un pranzo «io sparecchiavo, e se buttavo delle briciole, Beppe le recuperava dalla spazzatura e ci impanava la milanese». Da quando ha aperto il blog, cuore del M5S, i suoi redditi sono balzati da 2.133.720 a 4.272.591 euro annui. Attira allocchi a migliaia e lucra con gadget, video, opuscoli ideologici sul «Vaffa Day» (pagamento cash e in dollari), in un sapiente intreccio tra ideali e pecunia.

Grillo è ragioniere e i conti li sa fare bene.

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