Milano - Per la prima volta, in quasi vent'anni di braccio di ferro con i giudici, Silvio Berlusconi viene condannato anche in appello. Mai, in tutta la sua carriera da imputato, il Cavaliere si era trovato così vicino al rischio di una sentenza definitiva, ad un verdetto che tramuta i sospetti e le accuse in anni di carcere. E, in questo caso, il verdetto che ieri viene emesso potrebbe cancellarlo anche dalla vita politica.
Poco prima dell 19,30 di ieri la Corte d'appello di Milano ha confermato integralmente la sentenza di primo grado che nell'ottobre 2012 giudicò Berlusconi colpevole di frode fiscale per avere, nella su aveste di «azionista di riferimento» di Mediaset, ordinato di gonfiare il prezzo dei film comprati in America. Confermati i quattro anni di carcere, di cui tre cancellati dall'indulto; confermato il rifiuto delle attenuanti generiche, che gli vennero già negate in primo grado in forza della sua «capacità a delinquere»; confermati i cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. Se anche la Cassazione confermasse la condanna, il Senato sarebbe costretto a dichiarare Berlusconi decaduto dal suo seggio parlamentare.
Nell'aula al primo piano del Palazzo di giustizia milanese si concretizza, nei pochi minuti che bastano al giudice Alessandra Galli per pronunciare il dispositivo, lo scenario più fosco tra quelli possibili per Silvio Berlusconi. E a uno dei suoi difensori, Niccolò Ghedini, tocca la parte sgradevole di quello che aveva già capito come andava a finire: fin da quando aveva chiesto invano alla Cassazione di spostare da Milano sia questo processo che quello per il caso Ruby, per sottrarre il Cavaliere a condanne già stabilite in partenza. «Le mie previsioni erano note, avevamo la assoluta consapevolezza di quello che sarebbe stato l'esito di questi processo, la forza della prevenzione è andata al di là della forza dei fatti». Siamo di fronte, dice Ghedini, a «una sentenza totalmente aldifuori di ogni logica e che in qualunque altra corte d'appello non avremmo avuto se la persona qui imputata qui non si chiamasse Silvio Berlusconi».
Al termine di una camera di consiglio di poco più di cinque ore, la sentenza della Corte d'appello sposa in pieno la ricostruzione della vicenda operata in ottobre dai giudici di primo grado. Viene assolto, per la seconda volta consecutiva, il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, difeso dagli avvocati Lucio Lucia, Vittorio Virga e Alessio Lanzi: di quale fosse stato il ruolo concreto di Confalonieri nella vicenda neanche la Procura, che pure aveva chiesto per lui una condanna a tre anni e 8 mesi di carcere, aveva mai fornito spiegazioni concrete. Insieme a Berlusconi vengono condannati gli ex manager Fininvest che trattavano i diritti dei film.
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