«Pd e M5S puntano a formare una maggioranza che si regga sull'antiberlusconismo e che abbia come primo e unico obiettivo quello di arrivare alla mia incandidabilità. Adesso non possiamo che aspettare qualche giorno e vedere quanto regge Bersani con la sua linea neogrillina». Pubblicamente evita di esporsi fino a tal punto, ma in privato Silvio Berlusconi lo scenario lo disegna sostanzialmente così. Perché - è il senso dei suoi ragionamenti - ancora una volta il Pd ha avuto la dimostrazione che con il Cavaliere in campo «bene che va pareggiano», anche partendo da vantaggi abissali come è accaduto a Romano Prodi nel 2006 o a Bersani oggi. Ed è per questo, almeno secondo l'ex premier, che il segretario del Pd ha deciso di seguire la linea dura, perché dopo la botta arrivata dalle urne l'unico modo per rianimare il Pd è dare al suo elettorato la testa di Berlusconi. La sua incandidabilità, appunto. Che sarebbe il risultato di uno dei primi provvedimenti dell'eventuale governo di minoranza a guida Bersani.
Ad Arcore è un lunedì lunghissimo, con Berlusconi che ancora una volta deve mettere la testa sulle vicende giudiziarie. Non solo per la dura requisitoria mattutina del pm Antonio Sangermano al processo Ruby, ma pure per gli appuntamenti dei prossimi giorni (l'appello per i diritti tv Mediaset e il primo grado della vicenda Fassino-Consorte), nonché per l'inchiesta su Sergio De Gregorio con relativa richiesta della procura di presentarsi a Napoli per essere interrogato. Un'agenda fittissima, dunque. Che s'intreccia a doppio filo con le vicende politiche, soprattutto se Bersani riuscirà a tenere la barra del Pd (che sul punto non è affatto monolitico) a sostegno dell'asse con Beppe Grillo. In quel caso, infatti, è proprio sulle questioni giudiziarie che si salderà l'intesa Pd-M5S, con Bersani a spiegare che visti i guai del Cavaliere «l'interlocutore non è credibile». Uno scenario, questo, che vedrebbe il presidente della Camera al Pd e quello del Senato magari a Grillo, con il successore di Giorgio Napolitano che verrebbe nominato tenendo il Pdl fuori dai giochi. Una legislatura vietnam, insomma. Con Berlusconi che a quel punto sarebbe sulle barricate dalla mattina alla sera.
Il Cavaliere, però, spera che alla fine le cose vadano in modo diverso. E che Bersani non abbia i numeri visto che Napolitano non sembra intenzionato a nominare un premier senza una maggioranza certa (il che significherebbe che Grillo dovrebbe esplicitare il suo appoggio). Non è un caso, insomma, che Angelino Alfano si dica fiducioso della «saggezza di Napoltano». È per questo che Berlusconi sta alla finestra e tace, in attesa di capire se quella che Fabrizio Cicchitto definisce una «linea di totale follia del Pd» avrà la meglio a Largo del Nazareno. In questo quadro, infatti, è chiaro che dal Pdl devono arrivare messaggi dialoganti e distensivi. Al punto che persino l'ex premier quando a sera esce con una nota per commentare le parole di Sangermano lo fa con toni che per i suoi standard sono da educanda. In altri tempi, infatti, non si sarebbe certo limitato a parlare di «requisitoria fantasiosa». Non è questo, però, il momento di alzare la tensione. Come gli hanno consigliato anche i figli durante il consueto pranzo del lunedì e pure Niccolò Ghedini che ieri non l'ha lasciato un attimo. Ora bisogna attendere.
«E se davvero Bersani è convinto di avere i numeri - ragiona il Cavaliere - allora avanzi una proposta. Ma sappia che se va avanti da solo sulla presidenza delle Camere allora da noi non avrà alcun appoggio. O si discute tutto insieme oppure non si discute niente».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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