«La linea di Bersani non cambia. Sul Quirinale forzerà la mano e proporrà un nome con cui cercare di raccogliere i voti del M5S. E quindi è chiaro che Prodi resta in pole position come successore di Napolitano». Non ha dubbi Berlusconi ed esclude categoricamente che il segretario del Pd decida di venire a più miti consigli e accetti di discutere il prossimo presidente della Repubblica con il centrodestra.
A parole è il senso dei ragionamenti che il Cavaliere fa durante una riunione ristretta ad Arcore con i big del partito dice di essere pronto al confronto solo per non fare lo stesso errore delle consultazioni e mettersi da solo dalla parte del torto escludendo il Pdl a priori, ma è chiaro che le intenzioni sono altre. Così, anche la disponibilità a un faccia a faccia con Berlusconi non fa affatto breccia perché, ricorda l'ex premier, «Bersani da premier preincaricato non ha ritenuto opportuno farmi neanche una telefonata» e non si capisce per quale ragione oggi dovrebbe aver cambiato idea. Soprattutto a sentire la conferenza stampa del segretario del Pd, un uomo «disperato» e «ancora sotto botta», tanto che «dopo oltre un mese non ha preso coscienza di essere uno dei due grandi sconfitti di questa tornata elettorale». Questo si dice ad Arcore, dove Berlusconi guarda Bersani in diretta tv insieme ai suoi e dove tutti concordano sul considerare «incredibile» il fatto che il segretario dei democratici continui a ostinarsi nella pretesa che si formi un governo targato Pd ma con il Pdl fuori. Una posizione considerata quasi eversiva. Bersani, è il senso dei ragionamenti del Cavaliere, nonostante la batosta elettorale e un risultato che vede alla pari centrosinistra, centrodestra e M5S vuole per forza creare un governo senza il Pdl e per di più mette un veto anche su un eventuale ritorno alle urne. Ecco perché Berlusconi è convinto che pure sul Quirinale continuerà a comportarsi «da oltranzista» e «cercherà di prendersi tutto nonostante rappresenti solo un terzo del Paese».
Di qui il duro comunicato di Alfano, peraltro di molto edulcorato rispetto a un Berlusconi che sposa decisamente la linea dei falchi. Al punto che, fosse stato per lui, ai dieci saggi indicati da Napolitano si sarebbe dovuta dare una dead line di 72 ore per riferire al Colle. Dopodiché di nuovo consultazioni e, nel caso, ritorno alle urne. Il timore del Cavaliere, infatti, è che le due commissioni volute dal capo dello Stato non abbiano altro obiettivo che quello di prendere tempo e chiudere la finestra elettorale di giugno, peraltro già di fatto al lumicino. Alla fine, però, le colombe Gianni Letta su tutti lo convincono sul seguire una linea più prudente. Così Alfano si limita a rispondere a Bersani che «non dialoghiamo con chi occupa le istituzioni e se lo stallo prosegue a causa del Pd, c'è solo la strada delle urne a giugno». «Nel nostro ordinamento aggiunge il segretario del Pdl il Parlamento deve esprimere una maggioranza e un governo. Se non lo fa la parola deve tornare agli elettori, altre vie non ci sono».
Un modo per alzare l'asticella, perché ad Arcore ci sono tra gli altri Alfano, Verdini, Schifani, Brunetta, Cicchitto e Gasparri sanno bene che il voto a giugno è ormai quasi impossibile, soprattutto se il successore di Napolitano decidesse di fare un altro giro di consultazioni. Resterebbe l'ipotesi luglio, che però non sembra convincere molto neanche nel centrodestra, visto che il rischio di una bassa affluenza c'è tutto.
Al di là della linea ufficiale, dunque, è chiaro che prima o poi una qualche trattativa dovrà a breve iniziare. Anche perché se ha ragione Berlusconi l'unico modo per cercare di disinnescare un Prodi o uno Zagrebelsky è quello di fare un nome a cui il Pd non possa dire no. Per esempio quello dello stesso Napolitano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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